Con un terzo di rappresentanti in meno, possibile ridurre l’Irpef di quasi l’1 per cento.
I conti fatti dall’Ufficio Studi Confcommercio.
La manovra economica approvata in tempi ultrarapidi dal Parlamento quest’estate ha, da subito, fatto scattare i rincari del bollo sul deposito titoli, la stretta sulle stock option, il ticket di 10 euro sulle ricette per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e di 25 euro per i codici bianchi in pronto soccorso. Inoltre ha reintrodotto il superbollo per le auto di lusso sopra i 225 kw, l’aumento dell’irap per le concessionarie dello Stato. La manovra costerà cara causando un esborso di circa 1200 euro all’anno a famiglia entro la fine dell’anno. Nel testo definitivo della manovra finanziaria non c’è traccia invece dei tagli ai privilegi della politica promessi a gran voce dall’esecutivo. Dalle indennità ai vitalizi, per la Casta cambia davvero poco.
Invece, sottolinea l’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio, sarebbe auspicabile, una possibile azione di contenimento della spesa pubblica che potrebbe partire dai costi della rappresentanza politica, ovvero quelli che i cittadini complessivamente sostengono per eleggere e far funzionare l’insieme degli organismi legislativi nazionali e decentrati – che, nel nostro Paese, ammontano ad oltre 9 miliardi di euro l’anno, corrispondenti a poco più di 350 euro per nucleo familiare, circa 150 euro a testa. Applicando ai circa 154 mila rappresentanti politici dei vari organi collegiali nazionali e locali l’ipotesi, più volte ventilata e condivisa da più parti, della riduzione di poco più di un terzo del numero dei parlamentari si avrebbe, infatti, un risparmio di spesa di oltre 3,3 miliardi all’anno. Cifra sufficiente ad attuare una riduzione permanente di circa 8 decimi di punto della prima aliquota Irpef a beneficio di oltre 30 milioni di contribuenti o, in alternativa, ad ottenere permanentemente una somma di 2.900 euro all’anno da destinare a tutte le famiglie in condizioni di povertà assoluta. In entrambi i casi, si tratterebbe della più grande ed efficace operazione di redistribuzione mai effettuata nel nostro Paese.
Da molti anni la spesa pubblica nel nostro Paese si mantiene stabilmente al di sopra del 50% del Pil. È un dato comune alle principali economie europee, anche esse ispirate al modello che intende contemperare esigenze del mercato e coesione sociale, ma che presenta, nel caso dell’Italia, connotazioni anomale, prime fra tutte la scarsa efficienza dell’apparato pubblico e la modesta capacità delle politiche redistributive di attenuare/ridurre le disuguaglianze dal lato dei redditi.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” ciò è possibile solo attraverso una graduale riqualificazione e progressiva riduzione della spesa pubblica.
Giovanni D’AGATA