Ieri 3 novembre 2011 il Presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino è stato audito dalle Commissioni congiunte bilancio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati sul disegno di legge di stabilità.
Il Presidente ha illustrato le valutazioni della Corte sul contenuto specifico del disegno di legge all’esame del Parlamento, destinato peraltro a subire modifiche ed integrazioni rilevanti a seguito delle decisioni assunte dal Governo nelle ultime ore, ma inquadrandole nel più generale contesto dell’evoluzione recente dell’economia, della finanza pubblica e dei mercati finanziari.
Con la Nota di aggiornamento del DEF gli interventi correttivi decisi con le due manovre estive sono stati analizzati con riferimento alle prospettive economiche per il triennio, che evidenziano gli effetti del rallentamento dell’economia mondiale.
Come è evidente – ha rilevato il Presidente – cominciano a manifestarsi gli effetti depressivi del rialzo dei tassi d’interesse che, avviato dal maggior costo del debito sovrano, si sta velocemente propagando al costo del credito per famiglie e imprese. Ma non è estranea al deterioramento dello scenario di crescita la stessa manovra di finanza pubblica, soprattutto a causa della netta riduzione del reddito disponibile delle famiglie e della drastica riduzione degli investimenti pubblici.
Una valutazione per grandi aggregati della manovra governativa per il periodo 2010-2014 – ha osservato il Presidente – mette in luce come una riduzione dell’indebitamento dell’ordine di 75 miliardi si realizzerebbe attraverso un aumento del livello delle entrate totali delle amministrazioni pubbliche di circa 117 miliardi e un aumento delle spese totali di circa 45 miliardi. Alla fine del periodo la dimensione assoluta del bilancio pubblico (entrate più spese) sarebbe molto superiore ai livelli attuali.
E’ naturale chiedersi se correzioni così sbilanciate sul fronte delle entrate – e, quindi, così negative per la crescita – non siano alla base dei ricorrenti segnali di sfiducia dei “ mercati”, più sensibili alle modalità di attuazione del riequilibrio e alle prospettive di sviluppo che al traguardo del mero azzeramento del disavanzo. Un dubbio che trova sostegno in un dato di fatto: l’Italia è già oggi il paese con il più basso rapporto indebitamento/Pil e sarebbe il primo a conseguire il pareggio, e tuttavia è, tra i paesi europei, quello costretto a pagare un elevato premio per il rischio sul proprio debito sovrano.
Una modifica di strategia – molto più attenta alla composizione degli interventi correttivi – attenuerebbe i rischi di una spirale negativa, con la fissazione di obiettivi sempre più ambiziosi di riduzione del disavanzo che la recessione, indotta dalle restrizioni di bilancio e in special modo dall’innalzamento della pressione fiscale, renderebbe difficilmente raggiungibili.
In conclusione, si rafforza nella Corte la convinzione che la traccia da seguire dovrebbe puntare ad un effettivo ridimensionamento del peso del bilancio pubblico (entrate più spese) sul prodotto interno lordo, così da liberare risorse per far crescere il livello della domanda degli “ operatori di mercato” e che, dunque, la conciliazione tra rigore e sviluppo debba essere trovata all’interno di manovre di risanamento che non separino gli interventi di riforma da quelli di riduzione del disavanzo.
Con riguardo al contenuto specifico del disegno di legge di stabilità il Presidente ha poi illustrato le valutazioni della Corte sui criteri di ripartizione dei tagli di spesa dei Ministeri che confermano le perplessità per un orientamento che concentra le riduzioni prevalentemente sugli investimenti e la spesa in conto capitale. Il Presidente ha poi sottolineato il rilievo della mancata ridefinizione del Patto di stabilità interno che rende più incerto il quadro di programmazione finanziaria delle amministrazioni locali.
Infine si è soffermato sulle principali problematiche di natura ordinamentale rilevando aspetti del disegno di legge non sempre in linea con le indicazioni della nuova legge di contabilità e i rischi connessi ad una grado eccessivo di flessibilità del bilancio statale.