Dopo anni di lavoro continuo ed ininterrotto l’obiettivo è stato (almeno apparentemente) raggiunto: Silvio Berlusconi per la prima volta ha confessato di non avere più la maggioranza ed ha pronunciato la fatidica parola: dimissioni. Mentre tutti si affannano a scrutare l’orizzonte, a paventare governi tecnici, istituzionali, a invocare urne aperte ed elezioni pochi si stanno interrogando sulle modalità di quello che è accaduto. E non si tratta di un ragionamento di poca importanza. Perché quanto accaduto ha a che fare con il concetto stesso di sovranità popolare, di democrazia e di autonomia politica e decisionale di un popolo e di una comunità nazionale. Berlusconi è stato chiaramente oggetto di una manovra strategica volta a rimuoverlo politicamente, una manovra che ha usato tutti i possibili strumenti disponibili (legittimi e meno legittimi) a disposizione per raggiungere l’obiettivo. Si è parlato di poteri forti ma, mai come in questo caso non si può dividere in maniera manichea la realtà. Sicuramente dietro la rimozione di Berlusconi ci sono poteri forti (in alcuni casi fortissimi, vedi il governo degli Stati Uniti d’America) ma non è che dall’altra parte ci fossero un gruppo di ingenue educande, ignare dei loschi maneggi del potere. L’operazione contro il presidente della Camera Fini, con la famosa casa di Montecarlo, il metodo Boffo, i rapporti con i servizi segreti (emresi con le varie indagini P3 e P4) ci dicono che lo scontro è stato equanime: tutti hanno usato tutto, fosse eticamente ragionevole o meno. Berlusconi va a casa (ma conoscendolo vorrà una rivincita immediata, magari alle urne dove ha capacità distintive di raccogliere consenso, oltre che mezzi di persuasione di massa) perché ha perso una lotta tra potentati. E l’ha persa perché probabilmente era meno forte sin dall’inizio ( gli apparati americani stanno lavorando da qualche anno sul suo dossier) ma anche perché ha fatto una serie di clamorosi errori. In primis la scelta di amicizie politiche discutibili: passi per Gheddafi ma Vlamidir Putin è stato davvero fatale alle sorti del cavaliere. Anche perché Berlusconi ha dimostrato tutta la sua impoliticità, quella verve diretta e sopra le righe che è stata una causa del suo successo ma che poi ne ha decretato il tramonto. Il rapporto con Putin è diventato un rapporto misto e ingarbugliato tra amici, tra statisti e tra uomini d’affari, peraltro su un terreno strategicamente sensibilissimo come quello dell’energia e degli approvvigionamenti petroliferi e di gas. Un rapporto alla Berlusconi, per lui naturale ma che prescindeva dalle metodologie classiche di gestione del potere, non teneva in considerazione le ragioni geostrategiche degli alleati (Putin è un pericolo per gli equilibri degli Stati uniti secondo solo alla nomenclatura cinese). Berlusconi viveva con l’utilitarismo spensierato e intuitivo tipico dell’imprenditore un rapporto delicatissimo nelle ovattate stanze del potere e dei bottoni. Ma non si tratta dell’unico errore, anche se a nostro avviso è quello più grave e rilevante. Berlsuconi ad un certo punto ha sovrapposto la propria vita personale, la propria ricerca di un divertimento che lo allontanasse dal vuoto di affetti successivi al divorzio al proprio ruolo pubblico. “Sono un premier a tempo perso” confessò in una delle tante (e ingiustificatissime) intercettazioni disposte sul suo conto dai magistrati. Ora non è che tutti i politici siano stinchi di santo, né è la morale o la morigerata vita familiare di un leader il miglior metro per poterlo giudicare. Ma il punto è che Berlusconi non solo aveva una vita gravemente disordinata ma faceva di tutto (Apicella, Sardegna e chi ne ha più ne metta) per farlo trapelare all’opinione pubblica. Perché sotto sotto ( e forse anche con qualche ragione) è convinto che l’italiano medio se potesse vorrebbe fare le stesse cose che lui, uomo di successo e stramiliardario, faceva e combinava. Infine, ma solo infine, c’è la politica dei suoi governi. E solo infine perché Berlusconi in questo ha avuto un vantaggio incredibile, un vantaggio che gli ha consentito di resistere laddove nessun altro avrebbe mai potuto resistere: il vuoto di leadership dell’opposizione. Il suo governo, sulla carta un governo liberista e riformista, non è stato ne l’uno ne l’altro. E’sempre stato (per la schiacciante personalità tecnica e intellettuale di Giulio Tremonti) un governo che ne ha fatto alcuna riforma significativa (le riforme costano, chi ce li dà i soldi pensava Tremonti, in buona sostanza un contabile evolutosi in professore) né ha mostrato alcun tratto veramente liberista o quantomeno liberale. Non solo. Tra Tremonti e il precedente ministro dell’economia Vincenzo Visco, condannato e vituperato come il vampiro, quello che ha succhiato più sangue alla popolazione italiana è sempre stato Giulio Tremonti, di cui non si ricorda una misura, che una, che alleviasse il fardello e l’onere economico ai contribuenti italiani (l’Ici sula prima casa è stato l’unico scatto di orgoglio in tema economico di Silvio Berlusconi in persona). Il punto è che se dall’altra parte c’è il vuoto galleggi nonostante i bunga bunga, l’amico Muammar e il costante (anche in tempi pre crisi) aumento del prelievo fiscale. Il governo Berlusconi è stata una grande delusione ma non aveva (e speriamo che oggi qualcosa si cominci a manifestare) alternative credibili. E qui cerchiamo di chiudere il cerchio. La lotta “Berlusconi contro tutti” che ha chiaramente danneggiato l’economia, l’immagine e il ruolo dell’Italia è stata una sostanziale congiura all’interno del palazzo. Berlusconi era ormai inadeguato per fare il leader dell’ottava potenza mondiale e bisognava rimuoverlo. Ma oltre al giudizio di inadeguatezza (su cui pure si può convergere) non c’era un progetto di governo della nazione. E soprattutto non c’è un progetto che partiva dal basso, che raccoglieva i veri umori degli elettori, le attese delle piccole imprese, la voglia di liberare energie di tanta parte della popolazione, specie quella più giovane oggi frustrata e sfiduciata. Il punto è sinora questo stato è uno spettacolo da Basso Impero, in cui i pretoriani o il capo dei pretoriani decideva se e quando andava ammazzato l’imperatore. Tutti sappiamo, con Romolo Augustolo, come è andata a finire questa storia …