Norma Brambilla: liberalizzazione orario apertura esercizi

0
381

La norma Brambilla, contenuta nel decreto-legge 98/2011, già in vigore dal 6 luglio 2011, prevede che gli esercizi commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande non siano più tenuti al rispetto degli orari di apertura e di chiusura, all’obbligo della chiusura domenicale e festiva e all’obbligo della mezza giornata di chiusura infrasettimanale. Questa liberalizzazione (art.35 c.6) è introdotta per tutti gli esercizi che si trovano nelle località turistiche o nelle città d’arte italiane, così come individuate dagli elenchi regionali.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione per il nostro paese che affermando il diritto di iniziativa economica privata, finalmente introduce una massiccia liberalizzazione in un settore strategico per la nostra economia. E’ infatti evidente la portata positiva della norma Brambilla, sia per i cittadini, che possono contare su servizi più accessibili e conciliare più facilmente i tempi di vita e di lavoro, sia sui turisti italiani e stranieri, che possono effettuare acquisti in più ore del giorno e in tutti i giorni della settimana. Su questa liberalizzazione, secondo un sondaggio Ipsos condotto all’inizio di luglio, hanno espresso un giudizio positivo 78 italiani su cento.

Nel 2009, gli studiosi del Cermes-Università Bocconi hanno valutato in un quarto di punto il contributo al Pil del raddoppio, da 16 a 32 l’anno, delle aperture domenicali consentite.

GLI ELENCHI DELLE REGIONI

Le Regioni, che in passato hanno provveduto, sulla base della normativa precedente, a predisporre gli elenchi dei Comuni a vocazione turistica e delle città d’arte sono già in regola con la normativa sopravvenuta. Le Regioni che sono inadempienti sono tenute ad adeguare le proprie disposizioni legislative e regolamentari, ovvero a redigere l’elenco dei Comuni ad interesse turistico e delle città d’arte situate nel proprio territorio, entro il 1 gennaio 2012.

I REGOLAMENTI COMUNALI

I regolamenti comunali in contrasto con la normativa primaria, cui abbiano dato attuazione le Regioni predisponendo gli elenchi dei Comuni ad interesse turistico, vanno disapplicati, perché contro la legge.

E SE LA REGIONE E’ INADEMPIENTE?

La norma, per essere operativa, presuppone l’esistenza dell’elenco dei “Comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte”che il decreto legislativo 114/98 (riforma del commercio) prevede al c. 3 dell’art.12. Secondo il testo, “entro centottanta giorni” dall’entrata in vigore del decreto, le Regioni, “anche su proposta dei Comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti”, individuano “i Comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggiore afflusso turistico”. In caso di inerzia della Regione, cioè di elusione dell’obbligo di individuare i Comuni a vocazione turistica, ha diritto di ricorrere al Tribunale amministrativo il Comune che ha formulato una proposta di riconoscimento quale Comune “turistico” senza ottenere risposta oppure il titolare di un esercizio commerciale ubicato in un Comune che ha oggettivamente i requisiti per essere dichiarato Comune turistico o città d’arte attraverso la procedura del silenzio-rifiuto. In questo caso si potrà chiedere il risarcimento del danno emergente e del lucro cessante.

La Regione, infatti, non ha una discrezionalità amministrativa, ma è tenuta a dichiarare un Comune turistico quando vi sono oggettivamente i presupposti per farlo.

IN QUALI COMUNI SI APPLICA

Abbiamo chiesto alle Regioni di fornire gli elenchi dei Comuni a vocazione turistica adottati. In allegato gli elenchi di quelle che hanno risposto, per un totale di 1500 comuni per 12 Regioni e una provincia autonoma. Non abbiamo invece avuto tali elenchi dalle Regioni: Liguria, Umbria, Campania, Calabria, Sardegna, Abruzzo, Marche e dalla provincia autonoma di Bolzano. Si invitano pertanto i sindaci e gli esercenti che volessero approfittare della nuova normativa, le cui imprese hanno sede in tali Regioni, a verificare con l’ amministrazione regionale l’appartenenza del proprio comune a tali elenchi e, nel caso essi non fossero mai stati prodotti, a seguire la procedura di ricorso al Tribunale amministrativo sopra indicata per fare valere il proprio legittimo diritto.