La manovra di Mario Monti: ingiustizia e recessione

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L’avevamo detto, ed è puntualmente arrivata. Avvolta in una confezione ricca di aplomb da professore bocconiano, unita a qualche lacrima da sceneggiata, la manovra del governo tecnico guidato da Mario Monti altri non è se non una colossale stangata fiscale. La furbizia professorale è consistita nel trovare misure (come quelle sulle pensioni) che non sembrano prelievi dalle tasche della gente ma che, invece, nella loro natura economica sono esattamente questo. Se prima infatti con i contributi versati la prestazione previdenziale scattava ad una certa data oggi scatterà ad una data successiva e, con l’applicazione indistinta del metodo contributivo, sarà anche ridotta in valore. Non si tratta di un prelievo in senso tecnico ma la sua sostanza non cambia: il valore dei contributi previdenziali diminuisce e la sua diminuzione è dovuta tutta all’intervento dello stato. Si tratta quindi pur sempre di un prelievo fiscale, in forma immateriale e non con versamento di danaro. 30 miliardi di incremento di tasse per un governo che voleva ridurre le spese, specie quelle improduttive, non è un sintomo di grandi capacità tecniche e gestionali: così siamo buoni tutti. Ma al di là della scadente qualità della manovra non si sono valutati, o forse non si sono voluti valutare, gli effetti macroeconomici. E questo fa tanto più specie in quanto il presidente del consiglio è un’economista, un accademico della scienza triste. Visto però che Monti non lo ha voluto fare proviamo a fare noi qualche ragionamento. La manovra avrà un chiaro effetto recessivo. Le misure di supporto alla crescita sono del tutto marginali (non inutili però) e non hanno la possibilità di controbilanciare l’effetto pesantissimo sull’attività economica della maxi stangata (peraltro l’ultima di una serie continua di stangate). Vediamo più in dettaglio la questione. Il maxi prelievo sugli immobili (con la reintroduzione di una patrimoniale Imu sulla prima casa e l’inasprimento della patrimoniale sulle seconde case, grazie alla rivisitazione degli estimi nella misura del 60%) avrà un duplice sgradevole effetto sull’economia reale. Da un lato drenerà liquidità dalle tasche degli italiani (non puoi pagare l’imposta con mattoni o pezzi di casa). Dall’altro deprimerà i prezzi degli immobili che, come nel caso delle pensioni, subendo un maggiore peso fiscale vedranno ridotto il loro valore netto. E questo significherà che un intero comparto produttivo nazionale, quello che gira intorno al mondo dell’edilizia subirà un forte rallentamento. Non solo. Il deprezzamento degli immobili per motivi fiscali potrebbe avvitarsi su se stesso e portare ad un forte calo dei corsi immobiliari, tale da mettere in pericolo il mercato dei mutui. Molte famiglie da un lato potrebbero avere difficoltà a pagare le rate dei mutui ( vista la natura profondamente regressiva della manovra Monti, cioè tarata sulle classi più deboli) e dall’altro il valore delle case date in garanzia diminuendo potrebbe indurre le banche (già alle prese con gravi problemi di solvibilità e di bilancio) a chiedere il reintegro delle stesse garanzie o a svalutare il valore dei prestiti. Si tratta di quanto accaduto negli stati uniti con la crisi dei subprime e qui l’unica differenza è che è stata la rapacità dello stato, colpendo il livello di reddito delle famiglie, a creare le condizioni perché un mutuo originariamente sostenibile non lo fosse in più in seguito. La riduzione delle prestazioni pensionistiche ha un altro effetto recessivo, forse il più grave di tutti: mina la fiducia nel futuro e nelle regole di convivenza economica. L’incremento repentino dell’età pensionabile rende non affidabili le regole stesse che disciplinano il mondo pensionistico italiano. E’successo oggi perché non potrebbe succedere di nuovo domani? Non solo. Il protrarsi forzoso dell’attività lavorativa demotiva chi aveva pianificato la propria andata in quiescenza con le vecchie regole e crea un ulteriore tappo per l’afflusso di giovani nel mercato del lavoro. E questo significa che le imprese avranno personale poco incline all’innovazione, al sacrificio e poco propenso a impegnarsi per la propria attività lavorativa. E quindi le aziende italiane saranno meno efficienti, meno produttive e meno innovativa. La recessione quindi trova un secondo pilastro: se le famiglie diminuiscono i consumi le aziende non investono e non crescono. La tracciabilità del contante sino a 1000 euro ha altri effetti recessivi. Da un lato incrementa i costi a carico delle famiglie  che dovranno fare ricorso a sistemi di pagamento tracciabili (bancomat, assegni, carte di credito, bonifici) con una spesa aggiuntiva per l’utilizzatore (e sono favolette l’eliminazione delle commissioni, anche perché alla fine non sarebbe neanche giusto essendo servizi che comportano costi di realizzazione). Dall’altro, come sempre succede quando una regola viene esacerbata o esasperata renderà paradossalmente l’utilizzo del contante ancora più preferibile e l’immersione nell’evasione ancora più facile. Si tratta dell’ennesima conferma della legge di Laffer che personalmente preferisco chiamare la legge delle grida manzoniane. Più si inaspriscono le sanzioni ( o le aliquote fiscali, come nel caso di Laffer) più sarà conveniente o in alcuni casi indispensabile commettere il reato (o evadere le imposte). Con l’iva al 23%, il contante proibito, le tasse in aumento il nero conoscerà una grande e rinnovata stagione, con buona pace dei teorici della Bocconi di Milano e del loro Rettore, oggi Presidente del Consiglio. Con la tracciabilità a 1000 euro aumenterà la quota di ricchezza affrancata dalle tasse, aumenterà l’esportazione di capitali all’estero e si ingrasseranno i circuiti di gestione consolidati del nero e del sommerso, in primis quelli della criminalità organizzata. E si tratta di fenomeni tutti recessivi oltre che socialmente pericolosi. Infine arriva l’aumento a tempo dell’Iva a settembre 2012. La classica ciliegina sulla torta. Tassando i consumi si tassano gli utilizzatori finali e si incide sulla loro disponibilità di reddito. Ed essendo il prelievo Iva sganciato da qualsiasi condizione reddituale del soggetto che paga l’imposta essa colpirà in maniera proporzionalmente maggiore, ossia comporterà un sacrificio maggiore per chi ha meno reddito. Inoltre incrementerà anche l’inflazione, un’altra tassa occulta che colpisce indiscriminatamente tutti, specie le classi più deboli. E comporterà una frenata nei consumi, visto l’aumento dei prezzi che l’Iva porta con sè. E quindi il quadro di una manovra completamente votata a creare una lunga recessione nel nostro Paese si completa e si perfeziona. Il governo Monti ci ha servito un bidone e ha per l’ennesima volta colpito gli italiani senza risolvere alcuno dei suoi problemi. E i problemi non stanno nei soldi che gli italiani versano allo Stato (siamo al top per pressione fiscale e dopo questa manovra credo che avremo un incontrastato primato mondiale) ma nel modo in cui lo Stato li spende. Parliamo di sole spese correnti per quasi 370 miliardi di euro l’anno. Bastava eliminare spese improduttive per un 5/7% (in primis quelle delle politica, che non sono certo solo quelle degli assessori provinciali) per evitare una manovra ingiusta, recessiva, sbagliata e di scadentissima qualità, con buona pace dei tecnici e degli accademici che l’hanno partorita.