Trasporto pubblici: disservizi, investimenti, tagli, tutti i numeri in Pendolaria 2011

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Meno 20% in Veneto, meno 13% nelle Marche, meno 12% in Liguria, meno 10% in Abruzzo e Campania: ecco solo alcuni numeri relativi ai tagli dei treni per i pendolari attuati nel 2011 nelle Regioni italiane che pure, negli ultimi due anni hanno visto aumentare le schiere degli utenti (+ 7,8%) raggiungendo quota 2 milioni e 830 mila. Numeri enormi che illustrano senza equivoci la misura in cui il disagio e le difficoltà per chi ogni giorno ha necessità di muoversi per raggiungere il proprio posto di lavoro o studio aumenteranno.
Per fare esempi, vuol dire che i treni che ogni giorno attraversano Genova da Voltri a Nervi, dal 2007 ad oggi, sono passati da 51 a 37 mentre i 65 mila pendolari della linea romana da Fiumicino Aeroporto a Fara Sabina, già progettata per contenere il flusso di solo 50 mila viaggiatori giornalieri, vedono tagliati altri 4 treni; chi si muove tra Prato e Bologna ha dovuto rinunciare ad un quarto dei treni e chi viaggia tra Piacenza e Milano ha visto tagliare un terzo dei treni.
E la situazione non migliorerà nel 2012, anzi: sono in programma ulteriori tagli. La manovra economica del Governo Monti ha infatti recuperato una parte del buco ereditato dal Governo Berlusconi nelle risorse per i treni pendolari, ma mancano ancora 400 milioni di euro per chiudere i bilanci 2011 e oltre 200 milioni per il 2012 se si vogliono garantire almeno i treni in circolazione. Per il 2013 si prevede di intervenire con un contributo sull’accisa, che però è ancora tutta da chiarire. Intanto aumentano i prezzi dei biglietti: +23,4% in Lombardia, + 25% in Abruzzo, + 20% in Liguria, tanto per citare i più eclatanti.

“I tagli ai treni pendolari devono essere assolutamente fermati – ha dichiarato Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente – non è possibile accettare che un servizio utilizzato ogni giorno da quasi 3 milioni di persone sia abbandonato al degrado e all’incuria. Chiediamo a Governo e Regioni di cambiare direzione e di guardare finalmente alle città come priorità per gli investimenti nelle infrastrutture, comprando treni e potenziando il servizio. E non si provi a rispondere che è una questione di risorse perché ogni anno si spendono diversi miliardi di Euro solo per soddisfare le richieste delle lobby delle grandi opere e dell’autotrasporto. Investire sui treni pendolari è la migliore risposta che si può dare ai cittadini e alle famiglie in un momento di crisi e alle città italiane oggi strette in una morsa di traffico e inquinamento”.

Se il trasporto su ferro continua a subire tagli e riduzioni quello su gomma continua a beneficiare di finanziamenti, sconti e detrazioni. Sull’autotrasporto, dal 2000 ad oggi, sono piovuti 4 miliardi e 400 milioni di Euro. Col governo Monti e il ministro Passera la solfa non cambia e si recupera un miliardo di euro all’anno per l’autotrasporto per rimborsare l’accisa sui carburanti, che sarà dunque pagata da tutti gli automobilisti (compresi i pendolari che usano l’auto).

In tema di investimenti e infrastrutture va sottolineato che da oltre dieci anni gli investimenti statali e regionali premiano la strada a danno della ferrovia. A leggere i dati di quanto finanziato dal 2002 al 2011 suddiviso tra strade, ferrovie, metropolitane sembra esserci stata una precisa strategia della mobilità che ha puntato a far crescere il traffico su gomma. I finanziamenti da parte dei Governi che si sono succeduti in questo decennio hanno infatti premiato per il 72,1% gli investimenti in strade e autostrade. Ben poca cosa è stato il finanziamento per le reti metropolitane (appena il 15,4% degli stanziamenti per opere infrastrutturali), mentre la situazione più drammatica rimane quella delle ferrovie, con il solo 12,5% degli investimenti totali. In termini assoluti le infrastrutture stradali sfiorano quindi la quota faraonica di 60 miliardi di euro, contro i 12,7 ed i 10 di metropolitane e ferrovie.

Ma anche le Regioni, in questi anni, non sono state da meno nel privilegiare con i propri investimenti le infrastrutture stradali a cui è stato destinato il 61% delle risorse.
Quando si è trattato di scegliere dove investire le proprie risorse tutte le Regioni hanno abbondantemente favorito gli investimenti stradali. In concreto, in Abruzzo negli ultimi 9 anni non è stata stanziata alcuna risorsa per le ferrovie, ma pure Liguria, Molise, Sicilia hanno destinato il 99% delle risorse ai cantieri stradali. Tra le eccezioni positive, la Provincia di Bolzano, la Regione Emilia Romagna e la Puglia, che hanno trovato nei propri bilanci risorse per avere più treni in circolazione e per l’acquisto di nuove carrozze, recuperando in parte i tagli del Governo. La palma della Regione “nemica dei pendolari” va al Veneto che nel 2011 ha investito risorse pari allo 0,05% del proprio bilancio e ha tagliato il 20% dei treni.

A completare il quadro negativo della situazione italiana è il confronto (impietoso) col resto d’Europa. La condizione infrastrutturale italiana è innegabilmente arretrata, ma il punto più critico è rappresentato dalla rete di metropolitane delle città italiane dove, con soli 176 km, il nostro Paese si colloca all’ultimo posto in valore assoluto, aumentando costantemente la distanza rispetto alle altre nazioni europee (fatta 100 la media europea l’Italia rimane ferma a 38,8). Lo stesso discorso vale per le ferrovie suburbane che contano in totale 595,7 km di estensione, lontanissimi dai 2.033 km della Germania e dai 1.770 della Gran Bretagna, con evidente e grave disagio per alcuni milioni di cittadini quotidianamente svantaggiati rispetto ai “colleghi” europei.

Ma non bisogna guardare solo alle infrastrutture quanto alla qualità complessiva del servizio, che vuol dire treni moderni, veloci, puntuali. I treni pendolari italiani sono quelli che viaggiano più lentamente in Europa: 35,5 km/h contro i 51,4 della Spagna, i 48 della Germania, i 46,6 della Francia ed i 40 del Regno Unito. Per recuperare velocità non servono nuovi grandi investimenti ma il miglioramento delle linee esistenti e magari la possibilità di utilizzare le nuove linee ad Alta Velocità anche per alcuni convogli pendolari.
Servono poi treni moderni e capienti. I treni di serie A, secondo parametri europei, dovrebbero avere una cadenza sotto i 15 minuti nelle ore di punta, materiale rotabile per una domanda rilevante e quindi con convogli a due livelli e un sistema tariffario integrato con gli altri mezzi di trasporto. L’unica linea che ha queste caratteristiche in Italia è la FR1 (Fiumicino Aeroporto-Orte) di Roma, ma il servizio effettuato è spesso in ritardo e la linea soffre l’eccessivo affollamento (65 mila persone al giorno per una capienza di 50 mila), aggravato anche dalla scarsa attenzione a servizi e pulizia sia dei treni sia delle stazioni.
Le linee di serie B (materiale rotabile dedicato al servizio pendolare e frequenza di 15-30 minuti) in Italia sono 12, la FR3 di Roma (nel tratto Roma Ostiense-Cesano), la Ferrovia Cumana di Napoli, le linee S di Milano e la Voltri-Nervi di Genova che purtroppo sta assistendo a tagli consistenti negli ultimi mesi; le linee di serie C, dove la cadenza “migliore” è oltre i 30 minuti, con convogli vecchi recuperati dall’utilizzo in tratte a lunga percorrenza e un numero di carrozze insufficiente, sono quelle più numerose in Italia dove, con una stima approssimativa ed al ribasso, se ne possono contare oltre 100.

“Il tema del trasporto pendolare deve entrare nell’agenda delle politiche nazionali – ha concluso Edoardo Zanchini – con l’obiettivo di vincere la sfida lanciata dall’Unione Europea al 2020 in termini di riduzione delle emissioni di CO2 e uscita dalla crisi attraverso la green economy. Occorre far crescere il trasporto ferroviario pendolare in modo da arrivare a 4 milioni di cittadini trasporti nel 2020, con una rilevante riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dal settore trasporti. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario dire No ai tagli e alle ulteriori riduzioni dei servizi”.

Per dire No ai tagli, oggi si sono svolti numerosi blitz di protesta organizzati da Legambiente insieme ai pendolari a Genova, Torino, Salerno, Reggio Calabria, Roma, Venezia Mestre, Spoleto, Piacenza, Milano e Pistoia. L’obiettivo della protesta è ribadire la necessità di una seria politica dei trasporti che sappia orientare adeguatamente investimenti e politiche, comprare nuovi treni e aumentare l’offerta sulla rete, attraverso una prospettiva certa di finanziamento per i prossimi anni al fondo nazionale per il trasporto ferroviario regionale. Al nuovo Ministro Passera spetta la responsabilità di affrontare il tema del servizio universale, ossia quello fatto di Intercity, Frecciabianca e Espressi, che usufruisce di un contributo statale e che ha oggi caratteristiche di serie C con treni sempre più vecchi e che vede, anno dopo anno, ridurre l’offerta nell’orario di Trenitalia.
Governo e Regioni devono scegliere come priorità il trasporto ferroviario pendolare, per aumentare le risorse a disposizione. Ma migliorare la qualità non dipende solo dalle risorse a disposizione, ma anche molto dall’attenzione ai problemi delle linee e delle stazioni, dalla disponibilità ad ascoltare e a portare miglioramenti che possono aumentare ad esempio la velocità media dei percorsi e la qualità del servizio.
Bisogna istituire un’Authority dei trasporti per creare le condizioni per cui si arrivi a gare per la gestione del servizio ferroviario in tutte le Regioni italiane, con ruoli chiari nel controllo degli investimenti e dell’offerta.
Occorre attuare una carta dei diritti dei pendolari che fissi obiettivi di servizio, diritti dei cittadini utenti, condizioni minime di informazione, qualità, rimborso per disfunzioni e disagi. I cittadini che ogni giorno si muovono in treno sono l’interlocutore fondamentale di una strategia di potenziamento del servizio.
E’ necessario spostare nei nodi urbani la voce maggioritaria della spesa per infrastrutture. Almeno il 50% della spesa nazionale per le opere pubbliche deve andare alla realizzazione di nuove linee di metropolitane, del servizio ferroviario pendolare e di tram.