Riceviamo e pubblichiamo
“Egregio sig. direttore,
chiedo un po’ di spazio al suo giornale per contribuire alla discussione sull’Ici-Imu, tema che sta creando legittima apprensione tra i cittadini, ma sui cui c’è anche molta confusione.
E’ una tassa comunale oppure no? Direi proprio di no, nonostante la denominazione, perché la maggior parte del suo gettito non finirà nelle casse dei Comuni. I sindaci sono chiamati a mettere la faccia su una tassa che non porterà risorse ai loro Comuni, ma allo Stato.
Anci ha sempre sostenuto la necessità di una tassa sulla prima casa, perché legata al territorio, come accade in tutti i paesi federalisti. Toglierla ha indebolito questo legame e ridotto l’autonomia finanziaria dei Comuni.
L’autonomia finanziaria permette di sviluppare servizi e, quindi, misurare la capacità degli amministratori. Come dice un efficace slogan: il cittadino paga i tributi, vede come sono utilizzati e vota premiando o punendo i propri amministratori. Il federalismo presuppone certezza delle risorse, territorialità del tributo e una sua manovrabilità: la reintroduzione dell’Ici poteva avere senso se inserita all’interno di questo percorso federalista, restituendo risorse e autonomia finanziaria ai Comuni per sviluppare investimenti e servizi.
Ma la nuova Imu porta maggiori entrate ai Comuni? No: ai Comuni con una mano viene concessa una tassa locale, ma con l’altra viene sottratto ogni gettito che superi l’attuale gettito Ici. Ogni euro in più viene preso dallo Stato. Anzi, se un Comune volesse abbassare l’aliquota ai propri cittadini, dovrebbe corrispondere la differenza allo Stato: in pratica, sarebbe il Comune stesso a pagare l’lmu. La verità è allora che questa tassa, nata per perseguire un disegno federalista, è stata subito piegata a una logica profondamente centralistica.
Per di più lo Stato tratterrà da subito metà del gettito sulla seconda casa e opererà un taglio al fondo di riequilibrio già definito in 1,627 miliardi nel 2012, 1,762 nel 2013 e 2,162 miliardi nel 2014, corrispondente al supposto surplus di gettito. Oltre a questo, ci sarà un altro ed ulteriore taglio di 1,45 miliardi come ulteriore contributo dei Comuni al risanamento del Paese.
Insomma, i cittadini pagheranno l’Imu ma si ritroveranno con i Comuni che non faranno più investimenti e taglieranno i servizi. Il patto di stabilità ci impedisce di utilizzare fondi che potremmo spendere per gli investimenti e la manutenzione del territorio e per far ripartire l’economia facendo lavorare le imprese. Sono soldi che già abbiamo in cassa, ma che non possiamo spendere perché il resto della pubblica amministrazione non riesce a diminuire il suo deficit. Il contrario di quanto serve per rilanciare la crescita. Complessivamente i tagli ai Comuni, sommati al patto di stabilità, ammontano nel 2012 a 8,5 miliardi di euro.
L’unica manovrabilità lasciata ai sindaci è di aumentare le aliquote dell’Imu. E’ un’autonomia di cui c’è poco da rallegrarsi, perché non porta migliori servizi ai cittadini ma solo più tasse per mantenere i servizi essenziali. Ricordiamo l’azzeramento del fondo per la non-autosufficienza, la drastica riduzione del fondo per le politiche sociali, i tagli a cascata che i Comuni ricevono dalle Regioni, a loro volta vittime della scure del governo.
Si parla di tagli agli sprechi e ai privilegi della pubblica amministrazione. Ma quando si parla di Comuni, spesso si vedono sprechi e privilegi anche dove non ci sono. Dopo anni di tagli i Comuni hanno già eliminato tutte le spese superflue: da anni sono l’unico comparto che ha migliorato il bilancio, gli stipendi medi del personale sono più bassi che in altri livelli amministrativi, come anche il rapporto tra dirigenti e dipendenti. E le indennità dei sindaci e degli assessori sono una frazione degli stipendi dei politici, di cui tanto si discute.
Chiediamo serietà: i tagli ai Comuni sono tagli ai cittadini. Come sindaci chiediamo al governo di rivedere il meccanismo del patto di stabilità e di farlo diventare un patto per lo sviluppo, per permettere ai Comuni di investire sui territori, creando lavoro e aiutando in questo modo la ripresa economica. Chiediamo anche che l’Imu, se vogliamo chiamarla davvero “imposta municipale”, ci sia lasciata per intero, insieme alla possibilità di programmare le politiche per il territorio contando su risorse certe. Rinunciamo in cambio a tutti i trasferimenti statali. Forse ci perderemo in gettito, ma ci guadagneremo senz’altro in autonomia”.
Attilio Fontana, Sindaco di Varese
Presidente di ANCI Lombardia