di Francesca Canino
Vivo con grande tristezza questi ultimi giorni dell’anno. E se fossero gli ultimi da giornalista? Una legge vuole cancellare i pubblicisti dopo 83 anni dalla istituzione giuridica di questa figura (avvenuta con il Rd 384/1928), mentre una Carta impedirà, dal 1° gennaio prossimo, di ‘impiegare quei colleghi le cui condizioni lavorative prevedono compensi inadeguati’. Ordine e Sindacato regionali sono silenti, come sempre, noi pubblicisti siamo, invece, alle prese con un problema che da soli non potremo risolvere.
Non è facile, tuttavia, scrivere dei ”pubblicisti” in seguito all’approvazione della Carta di Firenze e alle ultime leggi emanate (148/2011). Il rischio è di finire in un circolo vizioso. Dal 1° gennaio prossimo entrerà in vigore la Carta di Firenze, che prevede di non impiegare i colleghi con compensi inadeguati. La maggior parte dei collaboratori cioè, che presto si ritroveranno disoccupati. Ad aggravare la situazione è intervenuta anche la legge 148/11 che tra qualche mese dovrebbe cancellare i pubblicisti. Condivido quanto sancito dalla Costituzione all’art. 33 e ritengo necessaria una preparazione adeguata per accedere alla professione giornalistica. Intanto “il vero problema che tormenta il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti” sono i pubblicisti, che “in base al comma 5 dell’articolo 3 del dl 138/2011 (convertito dalla legge 148/2011), secondo cui l’accesso a tutte le professioni intellettuali è vincolato al superamento dell’esame di Stato previsto dall’articolo 33 (V comma) della Costituzione” non hanno futuro. Si potrebbe, in attesa di proposte alternative e valide, pensare di ammettere all’esame di Stato i pubblicisti (ancora attivi) che non esercitano altre professioni, che svolgono il lavoro di giornalista ininterrottamente da un certo numero di anni e che sono retribuiti, seppur minimamente. Non avremmo, altrimenti, un futuro: gli editori, infatti, riservano solo a pochi la possibilità di un contratto di praticantato.
Dopo aver letto quanto pubblicato sul sito di Franco Abruzzo, ho fatto alcune riflessioni: “CHI È IL GIORNALISTA PUBBLICISTA. L’iscrizione dei pubblicisti all’Albo è regolata dagli articoli 1 e 35 della legge 69/1963: Sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi”.
Si potrebbe obiettare che se un pubblicista esercita altre professioni o impieghi, non vive solo di giornalismo, quindi non potrebbe essere ammesso all’esame di Stato visto che: “I Consigli dovrebbero ammettere all’esame di Stato tutti quei pubblicisti che, 730 in mano, dimostrano di vivere esclusivamente di giornalismo (come è avvenuto dal 1969 in poi in Lombardia). Coloro i quali svolgono un’altra professione e vivono di essa, che interesse avrebbero a diventare professionisti? Seguendo questo ragionamento, il numero dei pubblicisti che vivono solo di giornalismo si ridurrebbe di molto. Per alcuni di loro il 730 riporta redditi annui che si aggirano intorno a € 1000 (quando va bene), fanno parte anche questi della stessa categoria (quelli cioè che vivono solo di giornalismo) per cui i colleghi lombardi vengono ammessi all’esame di Stato (anche se con redditi diversi)? Sappiamo bene che con € 1000 non si vive, ma è mai stata stabilita una cifra minima sotto la quale non si deve scendere pena l’esclusione dalla categoria di cui sopra?
Altra novità(?) sarà costituita dalla scomparsa delle tariffe. Non so per quanti pubblicisti si sia mai fatto riferimento al tariffario, ma con l’abolizione delle tariffe potranno essere proposti, per esempio, anche due centesimi a rigo. Allora sarà sempre più difficile vivere di giornalismo, in special modo se” La Consulta ha superato anche le riserve sul praticantato con questo ragionamento: La Corte osserva che, se è vero che ove il soggetto interessato non trovi un giornale che lo assuma come praticante egli non potrà mai intraprendere la carriera giornalistica, è altrettanto vero che neppure il giornalista iscritto può svolgere la sua attività professionale se non trova un editore disposto ad assumerlo: il che dimostra che ci si trova di fronte a conseguenze che non derivano dalla legge in esame, ma dalla struttura privatistica delle imprese editoriali, nell’ambito della quale la non discriminazione può essere assicurata soltanto dalla concorrenza della molteplicità delle iniziative giornalistiche”.
Oggi i giornali chiudono o sono in affanno, quindi ‘di molteplicità delle iniziative giornalistiche’ se ne parlerà sempre meno. Il ragionamento della Consulta appare pilatesco e senza alcuna indicazione da seguire.
Mi indigna poi leggere che “Un giornalista precarizzato, … è un lavoratore facilmente ricattabile e condizionabile… La condizionabilità e ricattabilità dei giornalisti sono inoltre strettamente correlate alla possibilità di trasmettere una buona e corretta informazione” (CARTA DI FIRENZE Della deontologia sulla precarietà nel lavoro giornalistico Testo in memoria di Pierpaolo Faggiano, http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7956).
In quanto a buona e corretta informazione, mi è capitato di vedere in uno dei quotidiani in cui ho lavorato, che proprio chi sta al vertice, e non è dunque precario, è portato a trasmettere le informazioni che vuole e come vuole, a dispetto del diritto di cronaca. Che la situazione generale del mondo giornalistico non sia più sostenibile, è un dato di fatto, però non si giunga a conclusioni che partono da una tesi reale (essere precari) e finiscono con l’asserire che la precarietà può essere sinonimo di ricattabilità e condizionabilità. Ciò non rappresenta assolutamente una logica conseguenza.
Infine, il punto su cui riflettere è: servono i pubblicisti all’informazione italiana? E quanti ne servono? Dalle risposte che daremo dovranno scaturire nuove regole per mettere ordine nel sistema, senza far del male a nessuno. Soprattutto senza distruggere i sacrifici e i sogni di chi in questa professione ha creduto.
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Giornalisti per la Costituzione