Legambiente esprime fortissima preoccupazione per il rischio di una catastrofe ambientale determinata dal disastro della Concordia al Giglio. La biodiversità, la fauna e la flora marina dell’area, al di là del possibile e gravissimo sversamento di olio combustibile, sono già duramente aggredite da tutte le sostanze tossiche e i materiali presenti nella nave e che stanno entrando a diretto contatto con il mare: le vernici, i solventi, gli oli lubrificanti, i detersivi, i reflui sanitari, i composti del cloro, e i metalli pesanti oltre alla putrefazione della grandissima quantità di derrate alimentari presenti in questa vera e propria città galleggiante, rappresentano infatti un agente inquinante di significative proporzioni.
“Chiediamo – dichiara Sebastiano Venneri, responsabile nazionale per il mare di Legambiente – un intervento urgente e articolato della Commissione Europea a supporto delle istituzioni nazionali per questa emergenza internazionale al fine di scongiurare la catastrofe ambientale e limitarne il più possibile i danni e le conseguenze che sarebbero di enorme portata per l’ecosistema marino e costiero dell’Arcipelago Toscano e della costa maremmana. È inoltre auspicabile un intervento concreto dell’International Maritime Organization per dare, come già annunciato dal Governo nazionale, un segnale chiaro ed esplicito che proprio a partire dal disastro della Concordia ponga le condizioni, nel nostro paese e a livello internazionale, per un controllo accurato e un’interdizione nelle aree sensibili (ad esempio isole minori, aree marine protette, la laguna di Venezia) delle rotte seguite dai grandi natanti da crociera e per i trasporti pericolosi. Una pagina così vergognosa della navigazione italiana – continua Venneri – che ha determinato la perdita di vite umane e minaccia ora una delle aree più delicate e pregevoli del nostro paese, si trasformi in una vera e propria occasione di svolta per la sicurezza e la tutela dell’ambiente. Si provveda alla realizzazione di una legislazione di nuovi strumenti normativi che, al di là della perizia e della professionalità dei comandanti dei natanti, stabiliscano regolamenti precisi di rotte e distanze nelle aree sensibili attuando una politica di forte prevenzione che eviti, a prescindere, disastri come quello del Giglio”.
L’intervento che deve essere programmato oltre che tempestivo deve essere fatto da esperti con una fortissima professionalità. Ricordiamo a tal proposito che il servizio del Ministero dell’Ambiente rispetto a questa emergenza ecologica non ha, ad oggi, continuità dal punto di vista economico per poter garantire capacità d’intervento nei prossimi mesi: questo a dimostrazione del fatto che si continua a non investire nel mantenimento e nello sviluppo di un vero e proprio servizio nel caso di emergenza ambientale che invece rappresenta il presupposto fondamentale per poter rispondere a disastri di tale portata.
Legambiente sottolinea l’importanza di intervenire con la massima tempestività per scongiurare la possibilità che alla grave tragedia umana si aggiunga quella di carattere ambientale. Infatti, in un rapporto consegnato dagli esperti dell’Ispra al Ministro dell’Ambiente si evidenziano 3 scenari possibili che impongono di accelerare i tempi per recuperare le 2380 tonnellate di combustibile ancora oggi rinchiuse all’interno delle 12 cisterne della Concordia. Il primo scenario prevede lo scivolamento della nave dallo scalino su cui è poggiata fino a 60-80 metri di profondità, mantenendo i serbatoi integri: in questo caso, tramite l’impiego di robot subacquei, si interverrebbe per mettere in sicurezza il combustibile ma con un rilascio controllato degli idrocarburi che avrebbe conseguenze significative su buona parte dell’ecosistema marino. Il secondo scenario, paragonabile all’incidente della nave da crociera Sea Diamond affondata nel 2007 davanti all’isola greca di Santorini, prevede l’affondamento della nave con la rottura delle cisterne e il rilascio di tutte le 2800 tonnellate di olio combustibile, con conseguenze ancora più gravi e un impatto fortemente aggressivo sulla ricchissima biodiversità presente in questo tratto di mare. Il terzo scenario, invece, è il più catastrofico in quanto prevede la possibilità che la nave affondando non abbia rotture e squarci direttamente verso l’esterno, ma tramite frantumazioni interne al natante gli idrocarburi migrino nei locali della nave con un rilascio “continuo e prolungato”: la compromissione dell’ecosistema marino sarebbe gravissima e con fortissime ripercussioni per lungo tempo paragonabili all’incidente della Rena nella costa orientale della Nuova Zelanda.
“Bisogna ricordare – ha detto Angelo Gentili, della segreteria nazionale di Legambiente – che mentre nel caso della Sea Diamond e della Rena sono state rilasciate 300 e 340 tonnellate di gasolio, compromettendo decine di chilometri di coste e aggredendo fortemente l’ecosistema marino, in questo caso si tratterebbe di 2380 tonnellate di gasolio molto denso e quindi con forte potere inquinate e con una previsione di scenario molto più impattante che potrebbe coinvolgere oltre al Giglio e alle isole dell’Arcipelago Toscano, anche la costa maremmana. Per scongiurare questi tre scenari – continua Gentili – occorre intervenire con la massima rapidità per svuotare le cisterne dopo aver scaldato il carburante, che si è condensato, e renderlo liquido. Svuotare dal combustibile la nave nella posizione attuale sarebbe la soluzione migliore per evitare un disastro ambientale di vastissime proporzioni, anche se il peggioramento delle condizioni meteorologiche e la presenza di forte vento e mare mosso potrebbero, oltre che mettere a dura prova la capacità d’intervento dei soccorsi, provocare lo spostamento e il relativo affondamento della nave”.
Per questo Legambiente chiede anche di valutare la fattibilità dell’ipotesi che sta circolando di ancorare il relitto a terra, attraverso grossi cavi collegati alle parti più resistenti della nave, per impedire lo scivolamento dello scafo.
“Legambiente chiede – ha aggiunto Umberto Mazzantini, responsabile isole minori Legambiente – l’istituzione dell’Area marina protetta per l’intero Arcipelago Toscano con un progetto che coinvolga il Ministero dell’Ambiente, la Regione Toscana e i comuni interessati, superando i localismi e lo strapotere delle multinazionali del mare; che garantisca un comune intervento istituzionale per favorire tutela e protezione di un’area delicatissima e ricchissima di biodiversità, garantendone al tempo stesso un adeguato e durevole sviluppo economico e turistico e ponendo seri ostacoli, affinché non si possano ripetere disastri come quello avvenuto, pensando, oltre che all’ambiente, materia prima dell’economia delle nostre isole, anche alla sicurezza”.