Proposta CGIL per la riforma degli ammortizzatori sociali

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Un sistema che poggia su due istituti: uno per le difficoltà temporanee o strutturali dell’impresa, in pratica l’attuale cassa integrazione però unificata rispetto allo strumento “ordinario” e “straordinario”, un altro per il sostegno al reddito delle persone il cui rapporto sia stato risolto, con l’unificazione delle attuali indennità di mobilità e di disoccupazione ordinaria. Sono questi le basi su cui si fonda la proposta della CGIL di riforma degli ammortizzatori sociali dati tratti inclusivi, equi ed economicamente sostenibili (anche perché non si può costruire uno strumento universale senza risorse).

Un contributo alla discussione che può essere fondamentale in questi giorni in cui si delinea, come priorità del governo, una revisione degli ammortizzatori sociali. La proposta presentata dalla CGIL alla fine del 2010, infatti, mantiene intatto tutto il suo rigore ed efficacia, anche per smascherare il facile gioco di chi dipinge corso d’Italia come il sindacato del “no”. Ma soprattutto si caratterizza per il fatto che consentirebbe di estendere la platea di dei beneficiari (soprattutto coloro che svolgono lavori precari e con basse qualifiche) di oltre 400 mila lavoratori, passando dal 50,4% dei lavoratori tutelati al 73,3%.

Nel dettaglio dello studio, elaborato dall’Ires e dal dipartimento del mercato del lavoro, si mette fine alle disposizioni in deroga e il connesso obbligo contributivo esteso a tutti i settori. E qui, come spiega il responsabile del mercato del lavoro, Claudio Treves, si aprono gli “aspetti problematici” dovuti alla nuova prospettiva: chi ha beneficiato dell’ammortizzatore in deroga, pagato dalla fiscalità generale, non sarà felice che questa condizione finisca ma è altrettanto chiaro come questo sia un passaggio obbligato per associare al termine “ammortizzatore sociale” la frase “universale”.

La posizione della CGIL, infatti, è per un sistema assicurativo fondato sulla contribuzione (lavoratori e imprese) e con un apporto solo solidaristico e di avvio da parte del bilancio pubblico. Sempre dalla proposta, inoltre, si legge come si debba poi alzare in maniera significativa il tetto massimale, portandolo a 1.800 euro netti, e confermare le durate complessive in 36 mesi nel quinquennio e i trattamenti di favore già oggi esistenti per i contratti di solidarietà.

Il secondo aspetto è il sostegno in caso di disoccupazione. In questo caso si tratta di allargare significativamente la popolazione che ne possa beneficiare, puntando a una sintesi tra gli attuali 48 mesi (ultracinquantenni meridionali in mobilità) e 8 mesi (infracinquantenni in disoccupazione ordinaria). Un “equilibrio difficile”, come osserva la CGIL, e che viene individuato in 24 mesi per tutti, elevati a 30 per gli ultracinquantenni e a 36 nel Mezzogiorno.

Parallelamente, per non rendere monca questa operazione, c’è bisogno di operare una “decisa forzatura” nei requisiti d’accesso: come ricorda Banca d’Italia, il requisito di due anni di anzianità contributiva è la vera tagliola che esclude non solo circa la metà dei lavoratori a termine da ogni beneficio, ma anche circa un sesto dei lavoratori a tempo indeterminato. Per questo la CGIL sostiene come unico requisito d’accesso il versamento contributivo di 78 giornate per poter accedere al sistema, prevedendo che quest’ultimo posa riguardare non solo i lavoratori dipendenti privati ma anche i precari della pubblica amministrazione e le forme atipiche (abusate) in condizione di “dipendenza economica”. Tutto questo si fonda sulla soppressione dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e del contratto di solidarietà oggi previsto per chi è escluso dalla cassa integrazione straordinaria.

Arriviamo al nodo. Quanto costerebbe questa operazione di riforma? La CGIL calcolava nel 2010 un aggravio di 5 miliardi di euro rispetto al costo del sistema del 2008 (ultimo dato disponibile), che scendevano a poco più di 4 miliardi tenendo conto delle dinamiche fiscali, ovvero: se gli importi degli ammortizzatori crescono vale lo stesso per gli introiti fiscali e contributivi per lo stato e l’Inps. Nel dettaglio si passerebbe da 8,2 miliardi di euro (per 887.978 lavoratori a 13,8 (per 1.292.817 lavoratori tutelati). Un incremento rispetto al sistema attuale, che però verrebbe, come detto, completamente coperto dalle maggiori entrate contributive legate all’estensione della platea di beneficiari.

A questo costo sopperiscono gli allargamenti delle basi imponibili (precari della pubblica amministrazione, committenti di collaborazione) ma soprattutto modulazioni delle basi contributive oggi vigenti: in Italia ci sono 24 regimi contributivi diversi, a seconda del settore, del territorio e dell’impresa che la proposta della CGIL riduce a 6 ed equilibrarli solo in modo da differenziali per le effettive peculiarità. Insomma sono queste le grandi linee di una riforma seria e rigorosa che la CGIL mette in campo per aumentare significativamente la platea di lavoratori “coperti” da un sostegno, così come il governo (in primis la ministra Fornero) sostiene di voler fare.