Dal “Salva Italia” al “Partecipa Italia”

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L’azione del governo Monti lascia il campo aperto a numerose perplessità. Il sospetto che a pagare siano i “soliti noti” resta ampiamente diffuso. Noi, per esempio, continuiamo a pensare che un saggio uso della tassazione dei grandi patrimoni avrebbe sostenuto il contrasto all’evasione fiscale e avrebbe ridotto il carico e l’odiosità dell’Imu. Non è destituito di fondamento nemmeno il sospetto che sia in corso una sorta di sospensione della democrazia, a causa della invadenza di mercati finanziari sostanzialmente irresponsabili, e delle pretese di una “Europa” incarnata da poche persone. Varie esternazioni, quanto meno indelicate, dello stesso premier e di altri membri del governo alimentano il sospetto di una percezione elitaria dei problemi che affliggono i cittadini.
Sono tutti rilievi importanti che inducono a sospendere il giudizio complessivo. Ciononostante è doveroso rilevare che, per ora, il baratro “greco” è stato allontanato, che l’Italia ha ripreso il suo posto nella scena internazionale e che, dopo anni di provvedimenti caotici e raffazzonati, si intravede nell’azione di governo un’ipotesi di percorso che potrebbe anche portare da qualche parte. Con il decreto “Salva Italia” sono stati messi in sicurezza i conti pubblici. Con il decreto “Cresci Italia” si sta tentando, sia pure con omissioni non irrilevanti, di ridurre il peso delle rendite che ingessano il paese. Il pacchetto delle norme sulla semplificazione potrebbe migliorare la vita dei cittadini e delle imprese. L’avvio del confronto sul lavoro fa prevedere duri conflitti ma, stando alle dichiarazioni di tutti i soggetti, potrebbe comunque favorire una riduzione del tasso di precarietà e un miglioramento degli ammortizzatori sociali: Un connotato interessante dell’azione di questo governo è quello di puntare ai risultati aggiustando e modificando puntualmente le disposizioni in atto, senza ricorrere a leggi bandiera utili soltanto per produrre nuove complicazioni. A lato delle riforme sono state presi provvedimenti per la mobilitazione degli investimenti già stanziati, per liquidare, sia pure parzialmente, i crediti in sofferenza delle imprese e, sembra, per sostenere la lotta all’evasione.
Tutti allegri e contenti? Certamente no! L’insieme delle misure, secondo il governo, dovrebbe garantire una sostanziale compensazione fra sacrifici e vantaggi per i cittadini e favorire la ripresa della crescita. Anche Federconsumatori stima che, per una famiglia media, il carico fiscale aggiuntivo potrebbe essere quasi integralmente compensato dalle riduzione del costo dei servizi liberalizzati. Il problema è che il primo è certo e immediato e le seconde sono ipotetiche e dilazionate nel tempo mentre la crescita resta, per ora, un’ipotesi di scuola.
La tenuta del governo, inoltre, potrebbe non essere scontata a causa di numerose difficoltà. Man mano che si riduce lo spread, cresce la tentazione dei partiti di riprendere in mano la situazione. Le reazioni delle corporazioni possono mettere in discussioni parti importanti dei diversi decreti. Superata, se così si può dire, la fase economica, il governo sarà costretto ad impegnarsi su temi di alta densità politica come il campo minato della riforma della giustizia o l’adeguamento della protezione civile. La stessa attuazione dei provvedimenti assunti, con una burocrazia allenata a svuotare di contenuto qualsiasi cambiamento, richiederà interventi attenti e non facili. La traduzione pratica dei consistenti tagli al fondo sanitario può facilmente diventare una fonte di feroci conflitti.
In periodi “normali” si potrebbe mettere in conto la possibilità di un fallimento e di un ricorso alle urne.
Nella situazione attuale ciò sarebbe causa di enormi pericoli e noi crediamo che, per la sua stessa origine, questo governo debba assumersi la responsabilità di fare tutto il possibile per portare a compimento un’azione di “rimessa in moto” del Paese. Perché ciò sia possibile, è necessario rimuovere un equivoco che potrebbe vanificare qualunque azione. E’ vero che, per sbloccare varie situazioni, è necessario entrare in conflitto con vari interessi organizzati – evitando possibilmente la delirante pretesa di misurare la qualità di un intervento sulla base della quantità del dissenso provocato – ma questo non può comportare la rinuncia alla costruzione del “consenso attivo”. Nessuna riforma può funzionare se resta imposta dall’alto e attuata soltanto con misure coercitive. E’ necessario che i cittadini facciano proprie le strategie e le animino positivamente e creativamente. Diversamente il “sistema paese” resta fermo.
“No taxation without representation” dichiaravano i coloni americani. Per applicare oggi questo sacrosanto principio si dovrebbero compensare i sacrifici imposti con un maggiore spazio per i cittadini nella vita pubblica. Sarebbe una vera innovazione, una testimonianza inequivoca dell’intenzione di promuovere veramente l’equità tanto invocata e, probabilmente, anche un modo per controbilanciare efficacemente le spinte corporative. Si potrebbe, in sostanza, pensare ad un decreto sulla partecipazione che potrebbe essere prodotto, secondo lo stile del governo, con un’intelligente interpretazione e aggiustamento delle norme esistenti. Non è questa la sede per una definizione compiuta di un progetto tanto impegnativo e tanto innovativo. E’ possibile però tratteggiare alcuni connotati essenziali di una simile “manovra civica”.
In primo luogo bisogna liberarsi da una visione “decoubertiniana” di una partecipazione da “anime belle” e disinteressate. In tempi di crisi non possiamo permetterci lussi di questo genere. Bisogna avere il coraggio di intervenire su nodi strategici e di permettere all’azione civica di incidere effettivamente.
In secondo luogo, occorre mettere a punto una visione più aggiornata e non riduttiva dei processi partecipativi. Si ha infatti l’impressione che in molti casi si continui a pensare a forme più o meno attente di consultazione, ignorando, peraltro gli stessi sviluppi della democrazia deliberativa. Poca attenzione, con lodevoli eccezioni, alle dinamiche di empowerment degli individui e delle comunità in un amplissimo insieme di ambiti (dalla valutazione delle tecnologie mediche al governo del territorio)- Praticamente ignorato il fatto elementare che i cittadini agiscono sempre più spesso per “autonoma iniziativa” come ricorda l’art. 118 della Costituzione.
E’ necessario, infine, ricordare che la cittadinanza attiva è una grande riserva di energia sociale ma anche di know how e di tecnologie. La (purtroppo poca) letteratura disponibile lo dimostra inequivocabilmente. Quindi deve essere considerata e trattata come una risorsa e non come un fenomeno da disciplinare.
A partire da queste considerazioni è abbastanza facile individuare alcuni ambiti concreti di intervento.
L’emergenza neve/gelo di questi giorni ha confermato che la protezione civile ha bisogno di due grandi pilastri: la mobilitazione consapevole delle comunità e una competente guida unitaria. Bisogna rimediare ai guasti di una decennale gestione verticistica riprendendo i dettami della legge 225/92, con la formazione dei piani comunali e con l’aiuto di un volontariato che ha già dato ampia prova di sé sul campo.
Nel caso dei servizi sanitari e sociali esiste già una nutrita serie di esperienze capaci di coniugare partecipazione, salvaguardia delle comunità e appropriatezza dei servizi sul territorio con consistenti risparmi. L’aggiornamento (e l’ampliamento all’ambito sanitario) dei piani di zona previsti dalla legge 328/2000 potrebbe favorire la diffusione delle soluzioni e favorire una evoluzione non punitiva del welfare.
Il peso della corruzione, secondo la Corte dei Conti, ammonta a 60 miliardi ed è sempre più insopportabile per la stragrande maggioranza dei cittadini. La trasparenza è un presupposto indispensabile per qualunque azione di contrasto. Una intelligente e casta revisione della legge 150 dovrebbe favorire l’intervento dei cittadini nella formazione e nella verifica dei piani per la trasparenza (che dovrebbero essere estesi anche agli appalti) per promuovere un salto di qualità.
In una prospettiva di liberalizzazione, il controllo civico sui servizi previsto dal comma 461 – finora sostanzialmente inapplicato – potrebbe avere una funzione decisiva. Serve un’azione di impulso e, come ha sostenuto Claudio Lombardi in Civicolab, un’apertura all’intervento, ora escluso, dei comitati locali. Ciò potrebbe favorire il superamento delle resistenze, mantenere alla comunità locali un controllo effettivo sui servizi che le riguardano e sostenere concretamente anche l’azione delle Authorities.
Si potrebbe continuare ma questi pochi spunti dovrebbero essere sufficienti a confermare che un decreto “Partecipaitalia” avrebbe le qualità necessarie per entrare in un programma strategico di governo, per dare un serio contributo alla modernizzazione del paese e per favorire la ricostruzione di un clima di fiducia fra cittadini e istituzioni. L’apertura di una seria consultazione pubblica a questo proposito, da parte del governo, sarebbe già un grande segnale.

Alessio Terzi, Presidente di Cittadinanzattiva