Emma Marcegaglia torna ad invocare una revisione dell’accordo circa la riforma del mercato del lavoro adducendo “preoccupazioni espresse da centinaia di imprese”.In materia di flessibilità, con il solito piglio e lo stile confindustriale d’ordinanza. Eppure, in sede di trattativa Mario Monti,che una certa dignità pur ce l’ha, aveva accolto tutte le richieste della componente industriale, irritando non poco Susanna Camusso.
Certo, nulla a che vedere, con l’atteggiamento di Marchionne che in tempi non sospetti decise l’uscita di Fiat dall’organizzazione maggiormente rappresentativa dell’imprenditoria italiana. La giustificazione?Il timore di un dietrofront di Viale dell’Astronomia in materia di flessibilità .
Lo stesso invocato in questi giorni dalla Marcegaglia dopo un vertice con le altre organizzazioni imprenditoriali sostanzialmente “amiche”.
Atteggiamento che non sorprende, probabile “rilancio” di una posta in gioco che sembrava ormai decisa. Le colpe di Monti??Aver rivisto la posizione sull’art.18 e l’aumento della contribuzione imprenditoriale a favore dei nuovi ammortizzatori sociali. Ed anche un personaggio algido e compassato come il Professore è sbottato, chiedendo agli industriali più responsabilità.
Al Presidente degli imprenditori italiani, fa eco il leader degli industriali veneti sostenendo che “ci si aspettava di più”.
Viene da chiedersi, a questo punto, cos’altro si aspettavano di ottenere i nostri capitani d’azienda,tra i meno attivi a livello europeo quanto a idee ed ipotesi progettuali. Abituati ad anni di collettivizzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti,probabilmente sperano ancora di poter contare sui fiumi di finanziamenti pubblici e su una flessibilità in uscita che rasenta un’idea stile far west, francamente eccessiva quanto pericolosa ai fini della stabilità sociale.
Oggi, infatti,la situazione del Paese richiederebbe una maggiore sobrietà ed un senso di responsabilità collettiva cui Confindustria sembra avulsa, estranea com’è dal mondo reale. Responsabilità si, ma degli altri. Troppo semplice. Non è più tempo di vacche grasse ma si continua, invece, ad invocare un liberismo eccessivo dalle mani libere con un occhio sempre ben attento al sussidio di Stato.
Sotto questo aspetto, è illuminante un libro di Marco Cobianchi, giornalista di Panorama dal titolo inequivocabile :“Mani bucate” (2011, Ed.Chiarelettere).
Interessante, in quanto fa il punto della situazione sui finanziamenti ricevuti dagli imprenditori italiani. Soldi stanziati a società per produrre reddito, innovazione ed occupazione e sempre puntualmente sprecati. O in alcune ipotesi serviti per ripianare i debiti di imprese ormai senza più linee di credito con le banche.
Tra le società che hanno beneficiato degli aiuti di stato, anche una di quelle controllate dalla famiglia Marcegaglia.Nessuno fa eccezione. Ingenti somme, dunque, definite da più parti e, talvolta, anche da istituzioni prestigiose (Bankitalia) assolutamente inutili, soprattutto ai fini della creazione di nuovi posti di lavoro, di sviluppo economico e sociale.
Un esempio? Tutti i sussidi alle imprese impiegati nel Mezzogiorno hanno fatto crescere il Pil del Sud di appena lo 0,25 per cento rispetto a una crescita tra lo 0,6 e lo 0,9 per cento fatta registrare dalle aree depresse degli altri paesi europei (M.Cobianchi, Panorama, 29.9.2011).
Dal canto suo,Confindustria si ostina ad affermare di non aver mai ricevuto sussidi. Peccato che i dati della ricerca condotta e quelli del Ministero per lo Sviluppo Economico quantifichino in 840.000 (!!) le imprese italiane che hanno beneficiato di contributi pubblici (i nostri soldi, ndr), nel quinquennio 2005 – 2008. Per non parlare, poi, delle leggi ad hoc che, come per magia, si trasformano in sussidi a pioggia. Qualcuno ricorda la L.388 per la realizzazione dei siti internet aziendali??
Facile, dunque, essere liberali con i soldi dello stato e continuare a mantenere sedi di prestigio o a pagare consulenze stratosferiche e fuori mercato;il tutto a scapito di tanti lavoratori sottopagati o di stagisti a zero euro di rimborso spese. Ovvio che a questo punto la questione dell’art.18 sia fondamentale per Confindustria, per un sistema di imprese incapace di auto finanziarsi, di produrre valore aggiunto senza il sostegno, spesso a fondo perduto, dello Stato, dei soldi dei contribuenti.
Ma anche per il suo Presidente, che probabilmente sogna di chiudere con il “botto” il proprio mandato. Infatti, subito si è registrata una convergenza di intenti con Angelino (Alfano). Eppure, l’esperienza D’Amato, che si arenò proprio sull’articolo 18 avrebbe dovuto insegnare qualcosa.
Dunque, di che si lamentano sotto l’aquilotto confindustriale?Soprattutto, cosa si sarebbe dovuto fare di più?Lo si può intuire: liberalizzazione dei licenziamenti, nessun contributo sociale e soldi, ancora tanti soldi!
Nonostante la crisi, in altri paesi europei – Germania in primis – gli imprenditori sembrano avere idee chiare che si ispirano alla quintessenza dell’essere imprenditori: il rischio. Piano industriali ben definiti e basati su programmi temporali precisi sono la linea guida. In Italia non sembra esserci il benché minimo barlume in questa direzione ma la solita e collaudata strategia del pianto. Ed ormai anche lo slogan di una Confindustria apartitica, apolitica ed agovernativa sembra anacronistico. Troppi i flirt in questi anni con questo o quell’imprenditore impegnato in politica, eccessiva la presunzione di dettare la linea governativa.
Bene farebbe Confindustria, dunque, a presentare quel “Manifesto per l’Italia” tanto sbandierato ma serio e responsabile, nel quale siano previste forme di mutua solidarietà tra imprese e società reale nell’auspicio che una volta tanto, a pagare non siano sempre i soliti noti.
Mi riferisco ai lavoratori ma anche a quei tanti imprenditori seri che non sono soliti frequentare il salotto buono di Via Veneto. Imprenditori con una coscienza e che semmai perdono il sonno se costretti a licenziare un dipendente. Imprenditori dal volto umano per i quali il profitto, sempre e comunque, non è l’unico totem, la sola ragione di essere e di esistere in un mercato troppo spesso falsato, drogato da continue iniezioni di denaro dall’effetto doping oltreché inutile.
Che si avvii una riflessione seria, moralmente accettabile altrimenti il conflitto sociale non sarà più una probabilità ma una assoluta certezza. Dimostri Confindustria quel senso di responsabilità tanto millantato e mai attuato, di avere a cuore le sorti del Paese. Altrimenti, Atene non è poi così distante.
Paolo Liebman