Meno iscrizioni e più cessazioni: è così che, nel primo trimestre del 2012, si è allargata la forbice della vitalità delle imprese tra chi sceglie di entrare sul mercato creando una nuova attività (sono stati in 120.278 tra gennaio e marzo) e chi, al contrario, ne è uscito (in tutto, 146.368). In particolare, rispetto allo stesso periodo del 2011, le iscrizioni sono diminuite di 5mila unità mentre le cessazioni sono aumentate di ben 12mila unità, con il risultato di un saldo del periodo pari a -26.090 imprese. Praticamente il triplo rispetto ai primi tre mesi del 2011, quando erano mancate all’appello “solo” 9.638 imprese. In termini relativi, la riduzione dello stock delle imprese nel I trimestre è stata pari al -0,43%, contro il -0,16% del 2011.
Questo, in sintesi, il quadro che emerge dai dati sulla nati-mortalità delle imprese italiane nel primo trimestre dell’anno, fotografati da Movimprese e resi noti oggi a Lecce dal presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, nel corso del convegno sullo sviluppo del Mezzogiorno, organizzato dalla Camera di commercio del capoluogo salentino.
La “macchina del tempo” dell’anagrafe delle imprese riporta quindi le lancette al primo trimestre del 2009, quando si registrò un saldo negativo pari a -30.706 unità e un tasso di crescita del -0,5%, allora risultato della fortissima crisi economico-finanziaria esplosa l’anno precedente. Oggi, la brusca frenata della vitalità imprenditoriale è l’evidente risultato della fase di recessione avviatasi nella seconda metà dello scorso anno e dell’accresciuta e diffusa difficoltà ad entrare nel mercato.
“I successi del Made in Italy nel mondo da soli, non bastano a sostenere l’occupazione e a ricostruire il benessere dei territori andato perso nella crisi di questi anni” ha commentato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “L’anagrafe delle imprese – ha proseguito – è uno specchio fedele dell’immagine dell’economia reale che oggi ci viene restituita per quello che è: segnata da profonde difficoltà e da una diffusa incertezza nel futuro. C’è bisogno di politiche di sostegno dell’impresa più piccola, quella diffusa da cui dipende il destino di milioni di famiglie e di giovani. Oltre a credito e semplificazione servono azioni straordinarie sul fronte occupazionale e fiscale. Le Camere di commercio – ha concluso il presidente di Unioncamere – intensificheranno l’impegno a sostegno del tessuto economico, soprattutto di quello meridionale più in difficoltà in questo momento”.
IL QUADRO GENERALE
Secondo la rilevazione trimestrale condotta per Unioncamere da InfoCamere – la società di informatica delle Camere di Commercio italiane – a fare le spese del cattivo inizio d’anno sono state soprattutto le imprese più piccole, in particolare quelle artigiane (che al 31 marzo erano 15.226 in meno rispetto alla fine di dicembre), e quelle situate nel Mezzogiorno (diminuite di 10.491 unità, lo 0,52%, nei primi tre mesi dell’anno).
Commentando i dati del primo trimestre dell’anno va ricordato che, statisticamente, questo periodo presenta con una certa regolarità saldi negativi. Ciò per via del concentrarsi a fine anno di un numero elevato di cessazioni di attività, il cui riflesso si registra negli archivi camerali nelle prime settimane del nuovo anno. Ciò detto, il trimestre da poco concluso interrompe bruscamente il percorso di rientro – per quanto breve – che, dopo il pessimo risultato del 2009, si era andato manifestando con un’attenuazione della perdita di imprese. Al netto del del 2009, infatti, le 120.278 iscrizioni del primo trimestre 2012 costituiscono il rislutato meno brillante degli ultimi dodici anni. Sul versante delle cessazioni, invece, il magro risultato dei primi tre mesi del 2012 viene dopo i più duri bilanci registrati, nell’ordine, dal 2007 al 2009.
Parzialmente discordante appare la dinamica che dell’universo delle imprese artigiane. Nonostante le 32.965 iscrizioni di questo primo trimestre rappresentino il terzo miglior risultato dal 2001 ad oggi, le 48.191 cessazioni avvenute nello periodo costituiscono il record assoluto di default nella serie considerata, superiore persino all’anno “nero” 2009. Il modo artigiano, dunque, sembra portatore di una voglia di impresa che non demorde nei nuovi tentativi ma, al tempo stesso, di una fortissima difficoltà a far sopravvivere le iniziative esistenti.
Tra le forme giuridiche, l’aggregato che arretra di più è quello delle imprese individuali, diminuito in tre mesi di 30.520 unità (-0,91% contro il -0,57% del 2011), mentre meno significativa è stata la riduzione delle società di persone (3.797 unità, lo 0,33% in meno rispetto a fine dicembre). Gli unici segnali positivi – anche se più attenuati rispetto allo scorso anno – continuano a venire dalle società di capitali, cresciute nei primi tre mesi dell’anno di 6.911 unità (+0,5%), e dalle “altre forme” (1.316 in più, di cui 1.005 cooperative), pari ad una crescita dello 0,63%.
Tra i settori, in termini assoluti i saldi negativi più pesanti si registrano in agricoltura (-13.335 unità, ma va detto che si tratta di una tendenza di fondo che prosegue da anni), nel commercio (-8.671), nelle costruzioni (-8.328) e nelle attività manifatturiere (-4.929). Col segno positivo chiudono, invece, le attività immobiliari, quelle professionali e i servizi alle imprese che, insieme, crescono di 1.655 unità. Saldo positivo anche per i servizi di alloggio e ristorazione (423 imprese in più), sanità e assistenza sociale (+250), informazione e comunicazione (+125). Piccolo “boom”, infine, per il settore dell’energia, dove si sta probabilmente consumando la corsa agli incentivi per la produzione di energia attraverso fonti alternative. Nel trimestre, il bilancio delle imprese è stato positivo per 511 unità in più, corrispondente ad una crescita del 7,6%.
Sotto il profilo territoriale, tutte le macro-ripartizioni geografiche chiudono il trimestre con saldi negativi. La battuta di arresto più rilevante in termini assoluti è quella della ripartizione Sud e Isole che perde 10.491 imprese, il 40,2% di tutto il saldo negativo del periodo. A seguire viene il Nord-Est, il cui stock di imprese tra gennaio e marzo si è ridotto di 8.176 unità. Rapportato al totale delle imprese dell’area, questo dato corrisponde ad un tasso di crescita del -0,68%, il più pesante in assoluto. Contengono le perdite, invece,il Nord-Ovest (5.661 imprese in meno, pari allo 0,35% dello stock) e, soprattutto il Centro dove, grazie all’eccezione rappresentata dal Lazio (unica regione a chiudere il trimestre con un saldo positivo, con 1.953 imprese in più, frutto esclusivo della inarrestabile espansione delle società di capitale anella provincia di Roma), il deficit si arresata a -1.762 unità, pari allo 0,14% dello stock dell’area.