Che i mercatini dell’usato stessero spuntando come funghi sul territorio nazionale, questa era già cosa nota, ma che ci fosse già nell’immediato un’evoluzione, o meglio una settorizzazione dei vari tipi di esercizi commerciali specializzati nella vendita di prodotti già utilizzati, questa è una novità per l’Italia.
Per le neomamme e per i loro bambini, in moltissimi centri del nostro Paese nascono, infatti, come conseguenza della crisi che colpisce le famiglie italiane sempre più impietosamente, dei baby bazar, dove è possibile trovare di tutto proprio di tutto: dall’abbigliamento, alle cullette, ai giocattoli e ai passeggini sino ad ogni tipo di attrezzature e articoli per la puericultura.
Se è positiva l’idea del riciclo e del riuso per combattere un capitalismo ormai moribondo per trasformarlo in uno stile di vita senz’altro migliore, il fattore determinante che induce a muovere le famiglie ad acquistare e a vendere in questi baby shop è senz’alcuna ombra di dubbio la carenza di liquidità e l’indebitamento, perché se in passato la moda del corredino tutto nuovo e personalizzato era quasi uno status symbol delle famiglie italiane, così come l’acquisto di giocattoli di ogni tipo, le tasche vuote stanno facendo cambiare le abitudini nei nostri acquisti.
Anche questa, però per Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, è l’immagine, forse anche mesta, di un Paese in recessione del quale si possono cogliere anche gli aspetti positivi tra le quali una spinta verso un più sano e ponderato utilizzo delle risorse.