«L’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente ha contribuito in misura decisiva, oltre che a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo».
Era il 1956 e il giovane Giorgio Napolitano chiosava così l’arrivo dei carri armati sovietici nell’Ungheria della cortina di ferro. Va detto che molti anni dopo Napolitano avrebbe fatto autocritica, ma molti anni dopo. Siccome oggi re Giorgio, al pari di Mario Monti sta diventando una sorta di autorità spirituale per la nazione italiana sembra un bon contributo alla difesa della verità ricordare quelle parole dell’attuale presidente della repubblica. En passant ricordiamo che la rivolta provocò oltre duemila morti, migliaia di feriti e che 250.000 ungheresi abbandonarono la loro nazione per inseguire un’ideale di libertà e di democrazia.