L’Italia ha il primato negativo in Europa per la bolletta elettrica più costosa a carico delle aziende. I nostri imprenditori, infatti, pagano l’energia il 35,6% in più rispetto alla media UE. Tradotto in denaro si tratta di un maggiore costo di 10.077 milioni di euro l’anno, equivalenti a circa due terzi di punto (0,63%) di PIL. Per ciascuna azienda italiana significa un esborso di 2.259 euro in più all’anno rispetto ai competitor europei.
Lo spread Italia-Ue nei costi dell’energia elettrica utilizzata dalle imprese emerge da un’analisi condotta da Confartigianato.
In Italia la corsa dei prezzi dell’elettricità per uso industriale sembra inarrestabile: tra il 2009 e il 2011 sono aumentati del 17,4%, a fronte del + 9,5% registrato nell’Eurozona. Tra il 2010 e il 2011 i rincari si sono attestati all’11%, mentre nell’Ue si sono fermati al 5,9%.
Tutto ciò non ha fatto che allargare la distanza tra il nostro Paese e l’Europa: nel 2009 il gap per il costo dell’elettricità era del 26,5% per salire al 29,4% nel 2010 e al 36,5% nel 2011.
Confartigianato ha stilato la classifica delle regioni e delle province in cui gli imprenditori subiscono le differenze di costo più ampie rispetto all’Europa.
Il conto più salato lo pagano le nostre aziende del Nord che complessivamente nel 2011 hanno pagato l’energia elettrica 5.848 milioni di euro in più rispetto ai loro colleghi dell’Ue. Il divario Italia-Europa è di 2.492 milioni di euro per le imprese del Mezzogiorno e di 1.737 milioni di euro per le aziende del Centro.
La regione più penalizzata è la Lombardia, con 2.289 milioni di euro di divario di costi rispetto alla media Ue, seguita dal Veneto con un gap di 1.007 milioni di euro, dall’Emilia Romagna con 904 milioni e dal Piemonte con 851 milioni.
La classifica provinciale vede al primo posto per il più ampio divario di costi per le imprese rispetto alla media europea Milano, con un gap di 555 milioni di euro, seguita da Brescia (467 milioni euro), Roma (447 milioni euro), Torino (343 milioni euro), Bergamo (293 milioni euro).
Se, in media, ogni azienda italiana paga l’energia elettrica 2.259 euro all’anno in più rispetto agli imprenditori europei, questo gap si allarga a 4.108 euro per ogni impresa del Friuli Venezia Giulia, a 3.471 euro per ciascuna impresa della Sardegna, a 2.791 euro per ogni azienda della Lombardia, a 2.752 euro per ciascuna impresa della Valle d’Aosta. A seguire, per un imprenditore dell’Umbria il divario è di 2.654 euro l’anno, mentre per ogni impresa del Trentino Alto Adige il gap annuo è di 2.601 euro.
A gonfiare la bolletta energetica delle imprese contribuisce la pressione fiscale che incide per il 21,1% sul prezzo finale dell’elettricità. Anche in questo caso l’Italia detiene il record negativo nell’Ue per le imposte sull’energia più alte: arrivano a 4,65 euro per 100 KWh contro i 3,51 euro della Germania, l’1,42 euro della Francia, lo 0,71 euro della Spagna, e lo 0,47 euro del Regno Unito. Si tratta di un’anomalia che colpisce in particolare le piccole imprese le cui bollette elettriche sono gravate da una tassazione maggiore del 115% rispetto a quella delle grandi aziende energivore. “Il problema – sottolinea Giorgio Guerrini, Presidente di Confartigianato – è stato addirittura complicato dal Decreto sviluppo che ha rimesso mano alla fiscalità energetica ponendo le basi per una rideterminazione delle accise e degli oneri del sistema elettrico con un trattamento più favorevole per le grandi imprese a forte consumo di energia”.
Per abbassare il costo dell’energia, il Presidente Guerrini sollecita quindi “una riforma complessiva all’insegna dell’equità per ridurre e riequilibrare la tassazione sul prezzo dell’energia che grava soprattutto sulle piccole imprese. Servono anche riforme strutturali che aprano alla vera concorrenza i settori dell’elettricità e del gas e che puntino sull’efficienza energetica e sull’uso di fonti rinnovabili”.