In dieci anni la perdita di competitività del sistema Italia rispetto agli altri Paesi dell’eurozona è stata del 20%. E nella classifica delle maggiori economie del mondo l’Italia è scivolata all’ultimo posto.
L’analisi impietosa del declino del Paese è contenuta nel rapporto sul mercato del lavoro del Cnel, curato dal giuslavorista Carlo Dell’Aringa e presentato a Roma nella sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Lo studio suggerisce riforme strutturali e interventi su salari e produttività per poter risalire la china. Secondo il Cnel, che sollecita la politica a una reazione forte, se l’Italia non prova a rilanciare produttività e competitività c’è il rischio che si aprano scenari preoccupanti per l’occupazione. “Occorre che la politica sappia reagire” sottolinea il report, aggiungendo che in caso contrario potrebbero esserci “pressioni sulle dinamiche salariali. In pratica, il rischio è che la produttività venga recuperata tagliando i salari andando così incontro a “lunghi periodi di stagnazione dell’attività economica”. Uno scenario, avverte il Cnel, che “come l’esperienza greca ha mostrato ha implicazioni di carattere sociale allarmanti”. La priorità, dunque, è mettere in campo “riforme strutturali sulla crescita”, che inevitabilmente per potere avere degli effetti avranno bisogno di “tempi sovente molto lunghi”. Il Cnel osserva che il gap di competitività non può essere ridotto frenando la dinamica salariale, considerato il basso livello medio delle retribuzioni in Italia, anche se i salari reali sono cresciuti nel primo decennio del Duemila in media dello 0,9% l’anno contro, per esempio, lo 0,5% della Germania. La crescita, aggiunge il rapporto, è in un “circolo vizioso”: sono necessari investimenti per rilanciarla, ma non ci sono risorse proprio perché c’è la recessione. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, lo studio evidenzia che “non ha ancora risentito, se non in maniera marginale, della nuova recessione”. Le imprese hanno reagito alla crisi con la cassa integrazione, che ha portato a una “caduta delle ore lavorate per occupato”, mentre sta aumentando la quota di lavoratori a tempo parziale involontari, “ovvero coloro che lavorano part-time perché non hanno trovato un lavoro a tempo pieno”. Nonostante il quadro non sia tra i più esaltanti, nel 2011 c’è stato un modesto aumento dell’occupazione: 96mila posti in più rispetto al 2010, risultato di 110mila donne in più e 14mila uomini in meno. Ma gli occupati crescono soprattutto tra gli anziani. Nella fascia tra i 45 e i 64 anni si sono avuti 330mila posti in più mentre in quella tra i 15 e i 34 anni si sono persi quasi 200mila lavoratori. Rispetto al 2008 negli anni della crisi si è perso oltre un milione di occupati fino ai 34 anni. Per quanto riguarda la nuova disciplina dei licenziamenti, il nuovo articolo 18 definito dalla riforma Fornero interessa oltre 6 milioni di lavoratori. Si tratta, infatti, del numero di dipendenti in Italia in aziende con più di 15 lavoratori. E sempre secondo il rapporto del Cnel in futuro, a causa delle dinamiche demografiche e dell’immigrazione, ci saranno più lavoratori anziani e stranieri. Con il nuovo sistema previdenziale, si stima che nel 2020 sarà in attività un over 57 su due.