La sanita’ paga con il contagocce

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In media pagano dopo 300 giorni, ma nel Sud i tempi di pagamento raggiungono i 973 giorni in Calabria, gli 894 giorni in Molise e i 770 giorni in Campania.
Questi dati esprimono i tempi necessari alle strutture sanitarie pubbliche per saldare i propri fornitori. In altre parole, il numero dei giorni che, mediamente, separano la data di fatturazione da quella in cui i fornitori vengono liquidati.
Il debito con i fornitori non è certo, ma secondo una stima della CGIA non dovrebbe essere inferiore ai 40 miliardi di euro. L’impossibilità di quantificare con precisone l’indebitamento complessivo delle Asl e degli Ospedali è legato al fatto che molte Regioni non hanno comunicato alla Corte dei Conti i dati riferiti al 2011 (°).
Una “singolarità” che ha riguardato la Campania, l’Abruzzo, il Lazio, la Sicilia e la Calabria. Tutte realtà, segnala la CGIA, che si trovano in disavanzo sanitario. Conseguentemente, hanno siglato con lo Stato un apposito Piano di rientro impegnandosi nella riduzione della spesa e nella riorganizzazione dell’offerta sanitaria. Al netto di queste Regioni, alla fine del 2011 il debito ammontava a quasi 18 miliardi di euro.
Se teniamo conto che nel 2010 (quando l’indebitamento, pari a 35,5 miliardi di euro, includeva gli importi di tutte le Regioni) queste cinque realtà del Sud assorbivano quasi la metà del debito complessivo nazionale, possiamo affermare con buona approssimazione che il dato complessivo riferito al 2011 non dovrebbe essere inferiore ai 40 miliardi di euro.
“Un decreto legge del novembre scorso ha stabilito che dal 1° gennaio di quest’anno tutte le strutture sanitarie pubbliche dovranno pagare entro 60 giorni. Alla luce di questi dati – segnala Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – è difficile pensare che le Asl, soprattutto quelle del Sud, riescano a rispettare la nuova tempistica. Infatti, non è un caso che in questi giorni molte strutture sanitarie stiano sottoscrivendo dei contratti con scadenze di pagamento ben al di sopra dei limiti stabiliti per legge, in barba a quanto previsto dal decreto di recepimento della Direttiva europea contro il ritardo dei pagamenti”.
Purtroppo, sottolinea la CGIA, la cattiva abitudine di pagare in ritardo riguarda tutta la Pubblica amministrazione che, mediamente, riesce ad onorare le proprie fatture entro 180 giorni.
Da quest’anno, con l’estensione del Patto di Stabilità Interno (°°) anche ai Comuni con un numero di residenti compreso tra i 1.000 e i 5.000 abitanti (complessivamente pari a 3.700 Amministrazioni comunali), si corre il pericolo che il problema del ritardo dei pagamenti si allarghi ulteriormente. Anche questi Enti, infatti, potrebbero non riuscire a saldare le fatture in tempi certi e ragionevoli alle migliaia e migliaia di imprese impegnate nella realizzazione di piccole opere pubbliche od in attività di fornitura.
“Pur capendo le difficoltà economiche di moltissime Amministrazioni locali – conclude Bortolussi – bisogna rispettare la legge e far sì che i tempi di pagamento vengano rispettati. Insomma, deve valere il principio di reciprocità. Quando un contribuente non paga una imposta o una tariffa entro un determinato termine subisce sanzioni ed interessi di mora. Adesso che la legge contro il ritardo dei pagamenti lo consente, tutto ciò deve valere anche per l’operatore pubblico. Pertanto, non potranno essere sottoscritti contratti con pagamenti superiori ai 30/60 giorni e quegli Enti che non pagheranno entro queste scadenze dovranno essere sanzionati con l’applicazione degli interessi di mora che decorreranno automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora”.
Infine, la CGIA ricorda che nell’ultimo anno, a seguito di quattro decreti che sono stati approvati dal Governo Monti, sono circa 10 i miliardi di euro che sono stati messi a disposizione per abbattere i 90 miliardi di euro complessivi che le imprese private attendono dalla Pubblica amministrazione che per quasi la metà, come già ricordato, sono in capo al settore sanitario.

(°) Corte dei Conti, “Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni”, pag. 309-310, 25 luglio 2012.
(°°) Il Patto di Stabilità Interno prevede che i Comuni debbano realizzare un saldo positivo tra entrate e spese (con l’eccezione di alcune voci). Per determinare l’entità di tale saldo (che diventa così l’obiettivo da rispettare) bisogna considerare le spese correnti medie realizzate dal Comune nel periodo 2007-2009 e applicare un coefficiente. In questo modo, i Comuni che avranno speso di più negli anni precedenti dovranno realizzare un saldo positivo maggiore dei Comuni che hanno speso di meno. Per i Comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti il coefficiente da applicare alla propria spesa media è il 15,8%; i Comuni con popolazione tra 1.000 e 5.000 abitanti, invece, saranno leggermente agevolati in quanto dovranno applicare il coefficiente del 13% (a parità di spesa media il saldo da realizzare sarà inferiore per i Comuni più piccoli). Infine, ai Comuni “virtuosi” (sulla base di alcuni parametri) non verrà chiesto alcun sacrificio aggiuntivo: per rispettare il Patto sarà sufficiente realizzare un saldo tra entrate e spese pari a zero.