Ci dicono che il Fisco sarebbe diventato più “umano” e sensibile ai problemi dei cittadini anche in ragione della crisi economica, ma ci prendono letteralmente “in giro”. Perché se da una parte con il cosiddetto decreto “Fare” ci buttano un po’ di fumo negli occhi, dall’altra tolgono dalle tasche degli italiani, nel silenzio pressoché generale di una politica bipartisan complice di disparità e diseguaglianze.
Questa volta, in tal senso, lo “Sportello dei Diritti”, spiega il fondatore Giovanni D’Agata, attraverso un articolata disamina da parte degli avvocati tributaristi Maurizio Villani e Idalisa Lamorgese della normativa vigente e dei recenti provvedimenti, denuncia pubblicamente lo scandalo degli interessi moratori applicati in caso di ritardo nel pagamento di imposte, tributi e sanzioni che in un momento di gravissima e profonda crisi economica aumentano per effetto di sciagurate misure, andando così a gravare ancor di più sulle condizioni a dir poco precarie delle famiglie e delle imprese italiane e creano scompensi e diseguaglianze quando a rimborsare, al contrario dev’essere il Fisco. Di seguito, andiamo a spiegare attraverso la dettagliata analisi dei due tributaristi, cosa sta accadendo in materia nel nostro Paese per invocare un intervento immediato del governo volto a perequare tali divergenze e a ridurre gli aggravi a carico dei contribuenti.
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L’art. 1, comma 150, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 stabilisce che “Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, sono stabilite le misure, anche differenziate, degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo, anche in ipotesi diverse da quelle previste dall’articolo 13 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse fissato ai sensi dell’articolo 1284 del codice civile, salva la determinazione degli interessi di mora ai sensi dell’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni”.
L’articolo 30 del citato D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 stabilisce che: “Decorso inutilmente il termine previsto dall’articolo 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo, escluse le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministro delle Finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi”.
Premesso ciò, per la prima volta, dopo tre anni, con provvedimento del direttore dell’Agenzia dell’Entrate del 4 marzo scorso emesso – appunto – ai sensi e per gli effetti dell’articolo 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 gli interessi di mora (quelli dovuti dal debitore per il ritardo nel pagamento) tornano a salire e in un momento in cui è particolarmente difficile per cittadini e imprese onorare gli impegni assunti, sia per effetto della congiuntura economica sfavorevole ma anche a causa della contrazione del canale di accesso al capitale di credito erogato da banche e istituti finanziari, tale previsione non può certamente accogliersi con favore.
Di conseguenza, a far data dal 1° maggio 2013 il nuovo tasso su base annua è salito dal 4,5504% al 5,2233% e, pertanto, pagare in ritardo una cartella esattoriale (dopo il 61° giorno dalla data di notifica della cartella di pagamento) costerà di più.
In sostanza, se il debitore non provvede al pagamento dell’importo dovuto nel termine di 60 giorni, scattano oltre agli interessi di mora maturati giornalmente dalla data di notifica sulle somme iscritte a ruolo, anche eventuali spese connesse al mancato o ritardato pagamento.
Nelle “motivazioni” del provvedimento ministeriale si legge testualmente che: “…..Considerato che, come detto, l’art. 30 prevede una determinazione annuale del tasso di interesse in questione, è stata interessata la Banca d’Italia che, con nota dell’8 febbraio 2013, ha stimato al 5,2233% la media dei tassi bancari attivi con riferimento al periodo 1.1.2012 – 31.12.2012. Il presente provvedimento fissa, dunque, con effetto dal 1° maggio 2013, al 5,2233% in ragione annuale, la misura del tasso di interesse da applicare nelle ipotesi di ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo, di cui all’articolo 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.”
A tal proposito non si può trascurare di sottolineare che nel tempo vari decreti ministeriali si sono succeduti modificando, di volta in volta, l’ammontare dei tassi di interesse applicabili, ma ancora non si è risolto il problema della disparità di trattamento sull’applicazione degli interessi. Infatti, continuiamo a chiederci in base a quale criterio e a quale norma di legge vi sia una differenza tra gli interessi spettanti all’Amministrazione Finanziaria e gli interessi che si applicano ai rimborsi in favore del contribuente.
Infatti – come noto – sulle somme dovute dai cittadini contribuenti o dall’Amministrazione Finanziaria maturano ovviamente degli interessi a favore dell’una o dell’altra parte a seconda delle diverse situazioni.
Orbene, l’ammontare dei tassi di interesse sono stabiliti dalla legge o dai decreti ministeriali in misura assai differente a seconda che creditore della somma su cui tali interessi si applicano sia il contribuente o l’Amministrazione Finanziaria.
Al contrario, è giusto dire che tale disparità non esiste in materia di tributi locali in quanto vi è una disposizione di legge che espressamente fissa l’ammontare degli interessi sui ritardati versamenti e quelli sui ritardati rimborsi nella stessa misura. In particolare, l’accertamento dei tributi locali è disciplinato dalla Legge 27 dicembre 2006 n. 296, che ne ha uniformato la disciplina. Per quel che qui interessa, giova porre l’attenzione sull’articolo 1, comma 165, che regolamenta la materia degli interessi applicabili ai tributi locali, stabilendo che i relativi tassi siano uguali per le ipotesi di versamento in ritardo dell’imposta da parte del contribuente e per le ipotesi di ritardati rimborsi nei confronti dei contribuenti. Infatti, l’art. 1, comma 165, suddetto stabilisce testualmente dispone che: “La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili. Interessi nella stessa misura spettano al contribuente per le somme ad esso dovute a decorrere dalla data dell’eseguito versamento”.
Esaminiamo adesso, riprendendo anche un nostro elaborato di poco tempo fa, come tale disparità di trattamento emerga in maniera rilevante soprattutto in materia di imposte sul reddito, di imposta sul valore aggiunto e di imposta di registro.
Imposte sul reddito.
Per i ritardati versamenti il contribuente dovrà pagare:
a) gli interessi sulle somme accertate.
L’articolo 20 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, stabilisce che: “Sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del 4 per cento annuo”.
b) gli interessi per dilazione del pagamento.
L’articolo 21 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, stabilisce che: “Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell’articolo 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo”.
c) gli interessi di mora per ritardo nel pagamento delle somme iscritte a ruolo.
L’articolo 30 del D.P.R 29 settembre 1973 n. 602, stabilisce che: “Decorso inutilmente il termine previsto dall’art. 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella di pagamento e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministro delle Finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi”. (Interessi che – come detto – a partire dal 1° maggio 2013 ammontano al 5,2233%).
Nei casi di ritardati rimborsi da parte dell’Amministrazione Finanziaria di somme indebitamente versate dal contribuente, l’articolo 1, comma 1, del D. M. 21 maggio 2009 stabilisce che: “ Gli interessi per ritardato rimborso di imposte pagate e per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata, previsti dagli articoli 44 e 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono dovuti nella misura del 2 per cento annuo e dell’1 per cento semestrale, a decorrere dal 1° gennaio 2010”.
Iva.
In materia di Iva (Imposta sul Valore Aggiunto) si rileva una genericità delle disposizioni riguardanti gli interessi applicabili ai ritardati versamenti dell’imposta, a seguito dell’abrogazione, avvenuta ai sensi dell’articolo 37, comma 1, del D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 del comma 3 dell’articolo 60 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 il quale stabiliva che: “Sulle somme dovute a norma dei precedenti commi si applicano gli interessi calcolati al saggio indicato nell’art. 38-bis, con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 5 marzo dell’anno solare cui si riferisce l’accertamento o la rettifica.”
Pertanto, al ritardato pagamento delle somme dovute dal contribuente si applicava sino al 1999 il tasso di interesse nella stessa misura stabilita per i ritardati rimborsi Iva da parte dell’amministrazione finanziaria, disciplinati appunto dall’art. 38-bis del D.P.R. 633/1972.
Per quanto concerne gli interessi applicabili sulle somme accertate, l’art. 3-bis del D. Lgs. 18 dicembre 1997 n. 462, introdotto dalla legge n. 244 del 24 dicembre 2007, disciplina la rateazione delle somme dovute a seguito di liquidazione automatica, fissando il relativo tasso di interessi applicabile al 3,5 per cento annuo. Infatti, l’articolo sopra citato al comma 3 stabilisce che: “L’importo della prima rata deve essere versato entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Sull’importo delle rate successive sono dovuti gli interessi al tasso del 3,5 per cento annuo, calcolati dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di elaborazione della comunicazione. Le rate trimestrali nella quali il pagamento è dilazionato scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre”.
Venendo alla disciplina degli interessi applicabili sui rimborsi in materia di Iva, gli articoli cui fare riferimento sono gli artt. 38-bis, 38-bis1, 38-bis2 e 38-ter del D.P.R. 633/1972.
La misura dell’interesse annuo di cui all’art. 38-bis sopra citato è stata, poi, rideterminata dall’articolo 1, comma 2, del D. M. 21 maggio 2009 con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2010. Infatti, l’articolo 1, comma 2, del D. M. 21 maggio 2009 così recita: “Gli interessi per i rimborsi in materia di imposta sul valore aggiunto, previsti dagli articoli 38-bis e 38-ter del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, sono dovuti nella misura del 2 per cento annuo, a decorrere dall’1 gennaio 2010”.
Imposta di registro.
In materia di imposta di registro, rileva, ai fini della nostra analisi, il comma 4 dell’articolo 55 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131.
Il suddetto articolo disciplina in particolare la riscossione dell’imposta successivamente alla registrazione e stabilisce che: “Il pagamento dell’imposta complementare, dovuta in base all’accertamento del valore imponibile o alla presentazione di una delle denunce previste dall’articolo 19, deve essere eseguito entro sessanta giorni da quello in cui è avvenuta la notifica della relativa liquidazione.
Il pagamento delle imposte suppletive deve essere eseguito entro sessanta giorni da quello in cui è avvenuta la notifica della relativa liquidazione.
Il pagamento delle imposte e delle sanzioni amministrative eseguito successivamente alla registrazione deve risultare da apposita quietanza indicante gli estremi di registrazione dell’atto e le generalità del soggetto che ha eseguito il pagamento.
Per gli interessi di mora si applicano le disposizioni delle leggi 26 gennaio 1961, n. 29, 28 marzo 1962, n. 147 e 18 aprile 1978, n. 130”.
Come evidenziato, l’articolo 55 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 al comma 4 richiama, per l’applicazione degli interessi di mora, la legge del 26 gennaio 1961, n. 29 che stabilisce quanto segue.
Art. 1 “Sulle somme dovute all’Erario per tasse e imposte indirette sugli affari si applicano gli interessi moratori nella misura semestrale dell’1,375 per cento da computarsi per ogni semestre compiuto”.
Art. 2 “Gli interessi si computano a decorrere dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile ai sensi delle vigenti disposizioni”.
Art. 3 “In caso di omissione di formalità o di omessa autotassazione, o di insufficiente o mancata denuncia, gli interessi si computano dal giorno in cui la tassa o l’imposta sarebbe stata dovuta se la formalità fosse stata eseguita o l’autotassazione effettuata o la denuncia presentata in forma completa e fedele”.
Art. 4 “Gli interessi sono dovuti indipendentemente dall’applicazione di ogni penalità o sopratassa prevista dalle singole leggi tributarie”.
Art. 5 “Sulle somme pagate per tasse e imposte indirette sugli affari e ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudiziaria spettano al contribuente gli interessi di mora nella misura di cui al precedente art. 1 a decorrere dalla data della domanda di rimborso”.
In realtà, come già detto, anche con riferimento a questa fattispecie, il D. M. 21 maggio 2009 ha modificato la misura del tasso di interesse sia per quanto concerne il ritardato pagamento da parte del contribuente sia per quanto concerne il ritardato rimborso da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Infatti, con riferimento al ritardato pagamento da parte del contribuente, l’articolo 6, comma 2, lett. b, del D. M. 21 maggio 2009 stabilisce che: “A decorrere dal 1° gennaio 2010 sono stabiliti al tasso del 3,5 per cento annuo gli interessi relativi alle somme dovute a seguito di pagamento dell’imposta di registro, di donazione, ipotecaria e catastale entro i termini previsti dagli articoli 54, comma 5, e 55, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”.
Mentre, con riferimento ai rimborsi da parte dell’Amministrazione Finanziaria, l’articolo 1, comma 4, del D. M. 21 maggio 2009 dispone che: “Gli interessi per i rimborsi delle somme non dovute per tasse e imposte indirette sugli affari, previsti dagli articoli 1 e 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29 sono dovuti nella misura dell’1 per cento per ogni semestre compiuto, a decorrere dal 1° gennaio 2010”.
Da quanto chiarito si evince, dunque, e si ribadisce, che ancora una volta le posizioni del Fisco e del contribuente non sono su un piano di parità.
Perché il Fisco quando rimborsa applica interessi inferiori rispetto a quanto richiede dal contribuente in caso di accertamento o iscrizione a ruolo?
Ci sono gli estremi di una illegittimità costituzionale, in violazione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione. Il pagamento degli interessi di mora deve avvenire nella stessa misura e non può essere diverso a seconda che creditore di tali somme sia l’Amministrazione Finanziaria o il contribuente.
È quindi auspicabile un intervento del Legislatore, che sani questa illegittima disparità di trattamento tra il fisco ed il cittadino-contribuente, che riveda alcuni aspetti della riscossione dei tributi, introducendo elementi di flessibilità che consentano di contemperare la tutela degli interessi erariali con quella, altrettanto fondamentale, di preservare la sopravvivenza economica delle famiglie e delle imprese colpite dalla crisi.