Trasferimento lavoratore reintegrato: all’azienda l’onere di motivare la decisone

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Nessun trasferimento per il lavoratore reintegrato a seguito di una sentenza del giudice. Lo stabilisce la Cassazione (sent. 11927/13) che pone un ulteriore limite all’azione del datore di lavoro all’interno dell’azienda. Il caso è scaturito da un dipendente precedentemente riammesso al servizio dal tribunale che aveva annullato il termine del rapporto di lavoro. Una volta tornato in azienda, il lavoratore si era visto trasferire in un’altra sede diversa da quella originaria e aveva deciso di non presentarsi a lavoro. Subito era scattato il licenziamento per assenza ingiustificata ma, intervenuta la Cassazione, la linea portata avanti dall’impresa era stata ritenuta del tutto arbitraria e il licenziamento reso nullo. La ratio stava nel fatto che la prima sentenza di reintegro del dipendente prevedeva che questi dovesse tornare a ricoprire le stesse mansioni e nella stessa sede di sempre perchè il rapporto di lavoro era considerato mai cessato. Insomma, ci doveva essere piena continuità come se il contenzioso tra datore e lavoratore non fosse mai avvenuto.
In questi casi, all’imprenditore non resta che una possibilità per portare avanti la propria decisione di trasferimento: dimostrare che ci sono valide e reali esigenze tecniche, organizzative e produttive che sottendano al cambio di sede. Caso che, però, non ha riguardato il datore di lavoro imputato nella sentenza della Cassazione il quale non è riuscito a dare tale prova.
Si tratta di una sentenza importate in quanto mette nelle mani dei lavoratori un nuovo strumento di difesa contro eventuali abusi aziendali. Secondo la Corte, infatti, i comportamenti illegittimi da parte dell’impresa possono essere ignorati dal dipendente senza che questi debba temere ripercussioni.

C.M.