Mercatoscoperto/ Lo sciopero dei bancari e i banchieri scioperati

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Lo sciopero dei 309.000 bancari italiani non è uno sciopero per così dire rituale. L’alta adesione allo stesso, per una categoria difficilmente assimilabile alla lotta operaia e al duro confronto con i padroni, segnala qualcosa di più profondo di una semplice rivendicazione salariale o contrattuale. Ed in effetti il settore bancario vive una fase di profonda rivoluzione e lo stesso concetto di banca, come pacificamente acquisito nella mentalità collettiva, sta mutando in profondità. Le nuove tecnologie semplificano e rendono superflui ruoli (cassieri, operatori di back office, archivisti, ma anche mediatori, venditori e procacciatori) che davano corpo e sostanza alla professione di bancario. Si tratta di un problema serio, maledettamente serio che impatta sulla vita quotidiana di migliaia di famiglie. Fin qui la faccenda è grave e richiederebbe risposte serie da parte dei proprietari delle banche, dei regolatori e delle autorità di governo. Ma siccome siamo in Italia ad un problema serio si è risposto con la farsa, con la tragicommedia sul cui sfondo si registra poi l’inesorabile e inarrestabile rapacità delle classi dirigenti . Come ha risposto, infatti, il sistema bancario italiano ad un problema grave come quello posto dall’innovazione tecnologica sempre più penetrante? Con una serie di iniziative catastrofiche che però hanno consentito alle elite al potere guadagni facili ed immensi. La prima iniziativa, che ha comportato una vera e propria sbornia da acquisizioni e da inflazione di sportelli bancari, è stata la corsa al gigantismo bancario. In nome di non meglio precisate economie di scala (possibili in un quadro di business consolidato e non soggetto ad innovazioni radicali di processo, come la banca invece è ) si sono vissuti anni di acquisti, fusioni, assalti a blocchi di sportelli pagati a prezzi semplicemente assurdi. Il caso di specie, quello eponimo, è ovviamente Monte dei Paschi di Siena, banca secolare distrutta da acquisizioni spericolate, a prezzi spericolati, che l’hanno portata dopo secoli di attività alla rovina. E’ ovvio che per le elite invece l’affare è stato grande. Come è d’uopo in Italia chi gestisce miliardi di euro riesce ad intascarne (ufficialmente e/o ufficiosamente) milioni è questo è avvenuto anche da noi. I compensi milionari dei manager, i sospetti o le certezze di tangenti ne sono state l’amara riprova. Seconda reazione al cambiamento? Moltiplicare i livelli manageriali. Un’altra scelta demenziale che però assicurava al top management lauti stipendi per non fare assolutamente nulla. Si tratta di persone che non portano alcun valore aggiunto ma che, da una comoda plancia di comando lautamente retribuita ossessionano ogni giorno i sottoposti con domande del tipo “Quante polizze avete venduto oggi”. Terza risposta alla crisi e al cambiamento? Non fare più banca ma dedicarsi ad latro. Lo sportello bancario si sta trasformando in un bazar, in un emporio in cui chi entra può acquistare gadget elettronici, libri, aspirapolveri o computer. Di banca questi spazi cominciano a non aver più niente. Ma la banca invece nasce ed esiste con un’unica missione: raccogliere dei soldi e prestarli ad altre persone. Si è invece trasformata la banca retail in un enorme suk commerciale mentre i soldi non si prestano più, o meglio non si prestano più ai piccoli. E prestare ai piccoli è fare banca in modo sano, perché per quanto faticoso possa essere leggere i microcosmi di ciascuno di noi, il rischio dell’insolvenza è frazionato e quindi meno pericoloso. Quarta risposta alla crisi? Standardizzare l’attività bancaria tipica, con procedure automatiche. Basilea e la sua convezione è una grandissima puttanata. La parola rating non ha alcun senso e sicuramente non può essere (ancora) decisa da un computer. Il premio Nobel dell’economia venne attribuito qualche anno fa ad uno studioso che dimostrò come il merito di credito è legato alla psicologia umana e alla relazione tra gli uomini. Questo economista sosteneva che chi riceve un prestito dovrebbe essere visibile, a mo di grande fratello, dalla banca che gli dà i soldi, dovrebbe avere pareti trasparenti, pareti di vetro, perché anche l’infortunio di un bravo operaio può incidere sul merito di credito di un’azienda. Ma il sistema dei rating è servito per altro, al solito per il bene delle elite. Mentre il lattoniere che chiede 15.000 euro viene inesorabilmente respinto dalla filiale bancaria, le operazioni di grande finanza, le operazioni alla Totò con la Fontana di Trevi come la Carlo Tassara di Roman Zaleski (Banca Intesa presta i soldi per far comprare le azioni di Banca Intesa) superano a pieni voti i rating, le convenzioni di Basilea e tutte l’altro ciarpame che ha permesso la depredazione delle banche italiane. Potremmo continuare a lungo, con altri punti ma quelli principali sono questi. Lo sciopero dei bancari è quindi non solo sacrosanto ma forse tardivo. Le elite al governo dei sistemi finanziario italiano sono colluse tra di loro, ed hanno dimostrato di essere incapaci nel migliore dei casi, ladre nel peggiore. Vanno rimosse al più presto anche se forse ormai potrebbe essere troppo tardi.

Pietro Colagiovanni