La Cassazione con la sentenza del 11 novembre 2016, n. 22798, torna a pronunciarsi sul tema, “prima di intimare il licenziamento, grava l’obbligo di ricercare possibili soluzioni alternative anche fra le mansioni inferiori.La sentenza rigetta il ricorso della datrice di lavoro, condannata in grado di appello alla reintegra e alla corresponsione del risarcimento del danno, stabilendo che è errato in diritto ritenere – come fatto dalla ricorrente – che l’obbligo di repêchage gravante sul datore di lavoro «non si estenda anche alle mansioni inferiori a quelle del lavoratore licenziato». Nelle argomentazioni della sentenza non risulta chiaro il ruolo del consenso del lavoratore.
La sentenza richiama i precedenti secondo cui non è necessario un patto di demansionamento ma è onere del datore di lavoro prospettare al dipendente la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori,che devono individuarsi, oltre al rispetto dell’assetto organizzativo dell’impresa insindacabilmente stabilito dall’imprenditore, anche nel consenso del lavoratore all’adibizione a tali mansioni, essenziale la positiva volontà del lavoratore nell’accettare il demansionamento al fine di evitare il licenziamento. Il datore di lavoro, prima di intimare il licenziamento, ha l’obbligo di ricercare possibili soluzioni alternative anche fra le mansioni inferiori e di rappresentare al prestatore il demansionamento, divenendo libero di recedere dal rapporto solo qualora la soluzione alternativa non sia stata accettata. La positiva volontà del lavoratore continua a rappresentare, pertanto, un presupposto essenziale della sua legittima adibizione a mansioni inferiori; nondimeno, viola l’obbligo di repêchage il datore di lavoro che manchi di attivarsi nella ricerca di mansioni, anche inferiori, cui adibire il lavoratore, con conseguente illegittimità del licenziamento intimato per motivo oggettivo.
Alfredo Magnifico