Con ricorso al Tribunale di Roma in data 7.4.2006 la dipendente della societa’ srl, avente la gestione di una struttura alberghiera di prima categoria, chiedeva dichiararsi la nullita’/illegittimita’/ inefficacia dell’ordine di servizio del 17.2.2005, con il quale veniva assegnata in via esclusiva al turno serale ed ordinarsi alla societa’ datrice di lavoro di inserirla nei turni orari a scorrimento.Il giudice del lavoro,con sentenza del 25.3.2010- 26.9.2011 (nr. 5379/2011), accoglieva le domande.La Corte di appello di Roma, con sentenza del 10.10.2013-12.2.2014 (nr. 8393/2013), accoglieva l’appello della societa’ e in riforma della sentenza impugnata, dichiarava la legittimita’ del licenziamento e per l’effetto il difetto di interesse della lavoratrice alla pronunzia di impugnazione dell’ordine di servizio.
La Corte territoriale rilevava che alla lavoratrice nella lettera di contestazione disciplinare erano stati addebitati quattro episodi, tutti riscontrati dalla istruttoria svolta:
– il primo, consistente nell’essersi rifiutata di adempiere all’ordine del superiore gerarchico, la governante, di recarsi a lavorare al quarto piano per il rassetto delle camere prenotate dai clienti, ritardando l’inizio della prestazione del turno di almeno trenta minuti;
– il secondo, in data, consistito nel rifiuto ad eseguire l’ordine della governante di rassettare celermente due camere al quarto piano nonche’ nell’invitare il collega a lavorare con minor diligenza ed impedire ad altre colleghe di passare l’aspirapolvere per non disturbare una sua conversazione telefonica;
– il terzo, allorquando dopo avere chiesto ai colleghi addetti al ricevimento dei clienti,di parlare con il direttore, avendo appreso che doveva interloquire con il caporeparto si mostrava alterata in presenza dei clienti; nella stessa giornata recandosi al sesto piano aveva trovato la lavoratrice seduta in una stanza con le porte di varie camere aperte e gli apparecchi televisivi all’interno sintonizzati su stazioni radio a volume alto ed ancora seduta in una stanza due ore dopo;
– il quarto, consistito nella affissione nella bacheca aziendale di una comunicazione con toni altamente polemici nei confronti della governante in violazione di espressa disposizione aziendale, comunicato che dopo essere stato rimosso per ben due volte era stato affisso in varie copie sul muro sottostante la bacheca e negli spogliatoi del personale.
Il giudice dell’appello, valutata la gravita’ delle condotte, le considerava idonee a legittimare la misura espulsiva.Riteneva invece assente il motivo ritorsivo per ragioni sindacali; osservava che la lavoratrice era stata oggetto di doglianze scritte dei colleghi, spesso parte di litigi con questi ultimi, sovente destinataria di contestazioni disciplinari per rifiuto di adempiere a disposizioni di servizio ed insubordinazione. Ne risultava il quadro di una persona che cercava di farsi forte del suo stato di invalidita’ parziale e della appartenenza ad una associazione sindacale per imporre ai colleghi ed all’impresa le sue personali regole di convivenza e di lavoro.
La Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza del 20 febbraio 2017, n. 4315 dichiara inammissibile il ricorso ed ha sancito che è legittimo il licenziamento del dipendente che cerca di farsi forte del suo stato di invalidità parziale e dell’appartenenza al sindacato per imporre ai colleghi e all’impresa le sue personali regole di convivenza e di lavoro.
Alfredo Magnifico