L’Italia della crescita economica dimezzata. Promettere rivoluzioni senza cambiare nulla

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Puntualmente ad ogni comunicato dell’ISTAT sull’andamento del PIL italiano,tra maggioranza e opposizione, si scatena la polemica di chi è il merito e di chi è la colpa.


Da decenni lo schema politico è sempre lo stesso, le colpe sono inevitabilmente dei governanti precedenti, i meriti di quelli in carica, lasciamo passare al massimo due anni e le parti si invertiranno, rimane un dato costante: in Italia dal 1992 i tassi di crescita continuano ad essere pari alla metà rispetto alla media dei paesi aderenti alla UE. nonostante le promesse di rivoluzioni; liberali, sociali, tecniche e popolari, con i vincoli europei additati come ciambella di salvataggio o come causa di tutti i nostri Mali.


L’asse portante delle nostre politiche economiche non è cambiata, da una parte crescita della spesa corrente; a causa di pensioni, assistenza e tasse elevate per inseguire gli oneri degli interessi sul debito, dall’altra tagli vertiginosi sugli investimenti pubblici, il tutto riversato in una macchina tritacarne che penalizza i settori produttivi e il risparmio privato.
La difficoltà è comprendere cosa effettivamente è diventato il nostro Paese nel contesto internazionale: siamo meno dell’1% della popolazione mondiale, primeggiamo nel mondo per l’indice di invecchiamento, non ci poniamo il problema della sostenibilità economica e sociale di questo primato, anzi, se ne incoraggiano gli effetti degenerativi.


Basta pensare a due settori; il settore delle costruzioni, che faceva da differenza nei periodi aurei dello sviluppo economico italiano, e quello dei servizi alle persone e alle famiglie che potrebbe diventarlo.
Il primo, quello delle costruzioni , ha perso in dieci anni oltre mezzo milione di occupati, il fabbisogno di nuove costruzioni si è esaurito, quello della manutenzione e della valorizzazione del patrimonio deve fare i conti con l’evoluzione demografica e con una carente finalizzazione del risparmio privato , la spesa per investimenti pubblici infrastrutturali si è dimezzata per compensare la crescita di quella corrente.

L’unico contributo efficace per contenere i danni è venuto dalle agevolazioni per le ristrutturazioni. Quelle che vorrebbero abolire per finanziare la flat tax.
Nel settore dei servizi alla persona, a parità di popolazione residente rispetto agli altri paesi della UE, dovremmo avere circa 800ml occupati ufficiali in più, forse li abbiamo ma a nero. Come si genera ripara questa degenerazione? Non certo dal fabbisogno potenziale, visto che siamo il paese con il più alto tasso di invecchiamento. La differenza è data essenzialmente dalla mancanza, rispetto agli altri paesi, di agevolazioni e sostegni alle famiglie per l’acquisto dei servizi, con particolare riferimento a quelli dedicati alla crescita dei figli e alla cura degli anziani.


Occupati regolari, non lavoro informale/nero, svolto essenzialmente da donne che “non lavorano” e da immigrate sottopagate e non regolarizzate.
Basta con quote 100 o sussidi per redditi di diversa definizione, ma bonus bebè e pannolini, basta con sussidi a poveri inventati ma sostegno a famiglie abbandonate; sostegni veri, strutturali e con obiettivi a lungo periodo, che abbiano effetti di calmierare la crescita dei costi pubblici su assistenza e sanità.


Bonus Bebè e sostegno alle famiglie con anziani in casa da soli potrebbero portare innovazioni nei prodotti e nei servizi al mercato del lavoro, con un potenziale di oltre un milione di occupati, non solo quindi manovali e addetti alle pulizie, che in questa Italia, meriterebbero un monumento, ma anche baby sitter e badanti regolari.
Ma per adesso accontentiamoci di fare le polemiche sullo 0, men/ o 0 più, su questo fronte non ci batte nessuno.

Alfredo Magnifico

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