di Pietro Colagiovanni*
“Non mi interessa se nella storia saremo ricordati come barbari” questo l’assunto su cui verte tutto il film (2018) del regista rumeno Radu Jude, alla sua terza esperienza dietro la macchina da presa. Non interessa a Jude se la Romania anziché un passato glorioso, come la retorica ufficiale prova a magnificare, abbia invece un passato a volte orribile, inconfessabile, pieno di barbarie. La trama è semplice: una giovane regista teatrale riceve un finanziamento governativo per mettere in atto una rievocazione pubblica di un episodio della storia rumena. L’intento è quello di celebrare la Romania ma la giovane regista decide invece di avviare una operazione di crudo realismo e di risveglio delle coscienze.
Sceglie, infatti, il massacro degli ebrei di Odessa da parte dell’esercito rumeno del maresciallo Antonescu, tra i 25.000 e 30.000 morti uccisi a colpi di arma da fuoco o bruciati vivi in appena due giorni. Un tema scomodo che scatena la crisi con il committente , preoccupato per la reazione non positiva del pubblico e per il boomerang sull’immagine della nazione. Una nazione che si vede invece luminosa e gloriosa specie dopo anni di tronfia propaganda comunista. Alla fine la rappresentazione andrà in porto, sia pure con mille difficoltà, ma il pubblico, un po’ per ignoranza ma anche per pregiudizio, si lancerà in continui applausi verso il maresciallo Antonescue e verso la sua retorica razzista e di sterminio. Si tratta, quindi, di un film politico nel senso più nobile del termine.
Politica come vicende della polis, della comunità e, soprattutto, come responsabilità del singolo rispetto alla comunità in cui vive. Un tema alto, quasi rarefatto che Jude affronta con passione, impeto e grande cultura. La sua tesi è che solo conoscendo gli episodi più atroci della storia della propria comunità si possa evitare di ricadere in errori e abiezioni così gravi. Jude però non è granitico in questa convinzione, non è convinto fino in fondo che sia proprio così o, meglio, teme che non possa essere così e che il male, alla fine, non si estirpa dai cuori umani nemmeno conoscendo. Un film interessante e vibrante.
La narrazione però è troppo diluita nel tempo (dura oltre due ore), i dialoghi non sempre sono centrati, il mix con il privato della giovane regista non funziona molto. Insomma l’opera è forte nel suo cuore politico nel senso sopra esposto ed è molto più debole nel suo lato estetico e cinematografico. Potrebbe però essere, questa, una scelta consapevole dello stesso regista.
Voto: 3/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
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