Pietro Colagiovanni *
Nel ventennale della morte di Bettino Craxi, avvenuta in esilio in Tunisia “Hammamet” ricostruisce o meglio evoca gli ultimi sei mesi di vita del leader politico italiano. Il regista è Gianni Amelio, uno dei più dotati registi italiani viventi capace di unire tematiche sociali ad incredibili incursioni nella dimensione più intima dell’essere umano (“Il ladro di bambini” è un capolavoro assoluto della cinematografia italiana). La scelta quindi sembrerebbe non poter essere più felice: affrontare un tema che è ancora carne viva nel dibattito politico italiano (Tangentopoli, la sua funzione, il ruolo dei giudici, la presunta discriminazione tra i diversi partiti politici) calando il tutto in una dimensione privata, la sofferenza di un uomo lontano dalla sua terra e corroso dall’amarezza di quanto accadutogli. Ma la scelta teoricamente indovinata nelle due ore di narrazione perde gran parte della sua verve. Hammamet non è, per precisa scelta di Amelio (e crediamo noi, della produzione, visto che c’è la Rai) un film politico. Evita accuratamente di prendere posizione sulla vicenda di Craxi, su Tangentopoli e sulla fine del Partito Socialista. Addirittura camuffa i nomi dei personaggi, figli inclusi, li rende irriconoscibili e mai si sente pronunciare il nome Bettino nel corso del film. D’altronde non si tratta nemmeno di un film storico perchè la figura di Craxi è ancora materia di attualità, di dibattito quotidiano. Bettino Craxi non è stato ancora consegnato ai libri di storia e quindi se ne te ne occupi oggi non puoi realizzare un film storico. Amelio vira tutto verso la dimensione intimista, immettendo anche soluzioni di sceneggiatura (il figlio inquietante del suo compagno di politica Vincenzo) che non risultano particolarmente indovinate. Fare poi un film lirico o intimista su un personaggio che è ancora presente con forza, in un senso o in un altro, nella politica italiana non può funzionare. Ed infatti non funziona. L’ultima scelta sbagliata di Amelio a mio avviso riguarda i tempi del film. Visto che sostanzialmente il film non è né carne né pesce 126 minuti sono troppi, lo appesantiscono. Meglio comprimerlo in modo da non far esplodere le profonde contraddizioni realizzative sopraesposte. Si tratta quindi di un film interessante, ben girato, con una magistrale interpretazione di Pierfrancesco Favino (davvero sembra la reincarnazione di Craxi) ma non riuscito. Un ibrido che non trova mai un suo equilibrio volendo sintetizzare. In ogni caso, vista la rilevanza della figura che ha avuto Craxi nella recente storia italiana, è un film che merita comunque di essere visto.
Voto 2,5/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
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