di Pietro Colagiovanni
In questi giorni mi sento come il replicante Roy Batty in Blade Runner: ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginarvi. Ma non sono dovuto andare ai bastioni di Orione mi è bastato starmene più tranquillamente nel mio ufficio o a casa mia e guardare il telefonino o lo schermo del computer. Una cattiva informazione ha sobillato il panico su un’epidemia contagiosa ma meno mortale di una influenza mediamente virulenta. Invece di scrivere 154 contagiati il titolone parla di “oltre 150 contagiati” (potrebbero essere anche un milione, quindi) e giù panico e paura. Il tutto per una manciata di share e danni all’economia italiana che neanche si possono conteggiare. Ho visto sindaci, amministratori, pubblici responsabili che, pavidi dietro il loro “non si può mai sapere” chiudono la vita dei loro cittadini perchè è la strada più semplice. Ho visto gente che accompagna a scuola i figli e gli pulisce il banco con l’amuchina (di cui è corsa ad accaparrarsi preziose scorte) perchè così il virus si stermina. Ho visto dirigenti della pubblica amministrazione postare, come adolescenti su Tik tok, la più falsa delle fake news quando bastava semplicemente chiedere alla amministrazione che gli paga lo stipendio se le cose stavano proprio così. Ho visto gente rinchiudersi in casa in quarantene autoinflitte, furti di carrelli, assalti ai supermercati, amuchine bramate come elisir di lunga vita. Ho visto e letto scene inenarrabili e allora ho capito: il coronavirus ha funzionato, ha infettato tutti noi. Ma non ha colpito i polmoni o l’apparato immunitario, no: più subdolamente ha colpito i nostri cervelli