- Pietro Colagiovanni*
Ispirato ad un fatto di cronaca del 2008 “Omicidio al Cairo” è un film del 2017 del regista svedese (di padre egiziano) Tarik Saleh.
Un poliziotto, Noredin (un bravissimo Fares Fares) , immerso in una routine quotidiana di corruzione si imbatte nella morte, avvenuta in un hotel del Cairo, di una nota cantante egiziana. Le indagini vengono frettolosamente chiuse dalle autorità e la morte è etichettata come suicidio. Si tratta, invece, di un evidente omicidio. Noredin ha uno scatto di orgoglio e cerca di venire a capo della faccenda. Si imbatte così in un pesce grosso, un costruttore edile di primissimo livello, membro del Parlamento egiziano con cui la cantante aveva avuto una relazione.
La trama da questo punto in poi devia dal thriller o dal classico giallo e si trasforma in vibrante denuncia politica. Tutti i successivi avvenimenti sono infatti legati a filo doppio con la descrizione un sistema di corruzione talmente esteso che riguarda l’intero apparato statale: polizia, magistratura, servizi segreti, politica e ovviamente guida dello Stato, con Mubarak al potere.
Il film è ambientato nel 2011 proprio quando, con la rivolta di piazza Tahrir il despota mediorientale fu costretto a lasciare il potere. E cerca di evocare in quella rivolta una possibile palingenesi di un mondo così marcio da lasciare senza alcuna speranza (Noredin non avrà giustizia nel suo tentativo di incastrare il colpevole di una vera e propria catena di omicidi). Purtroppo sappiamo come sono andate le cose e le sa anche Saleh se è vero, come è vero, che i servizi segreti egiziani, tre giorni prima dell’inizio delle riprese, hanno impedito al regista di girare il film al Cairo (il film è stato realizzato a Casablanca).
L’Egitto di oggi, quello di Al Sisi, è praticamente uguale a quello di ieri di Mubarak e uno spettatore italiano, ricordando la tragica vicenda di Guido Regeni sa perfettamente di cosa si parla. “Omicidio al Cairo” è efficace quando descrive la normalità della pratica corruttiva, la mancanza di qualsiasi percezione, per migliaia di persone, di immoralità o di amoralità nel vivere propria vita immersi nel male e nella mancanza di qualsiasi scrupolo. E’ meno efficace come costruzione narrativa, proprio perché ibrido. Il giallo è uno spunto ma la deviazione narrativa spiazza lo spettatore.
La sceneggiatura, alle prese con l’impossibilità logica di ambientare una narrazione alla Agatha Christie in una puteolenta gestione del potere e della repressione, sfarfalla e si perde. Noredin non può essere Hercule Poirot e questo sfilaccia la narrazione, la rende di fruibilità più incerta. Gli attori sono molto bravi, credibili nella routinarietà del male, la fotografia è convincente ma questo non basta per rendere il film pienamente coeso e compatto.
“Il film della settimana” prende una pausa per il periodo natalizio. L’appuntamento è per sabato 16 gennaio. Da me personalmente e da tutto il gruppo Terminus un augurio per un sereno Natale e per un 2021 decisamente migliore dell’anno che abbiamo vissuto.
Voto 2,75/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
per commenti, recensioni o sollecitazioni e suggestioni cinematografiche potete contattarmi a colagiov@virgilio.it