Pietro Colagiovanni*
Non è facile scrivere una recensione di un film di un mostro sacro della cinematografia europea (e mondiale) come Otar Iosseliani. Ed infatti non la scrivo, non avrebbe neanche senso. Più di trenta anni fa mi imbattei per la prima volta nella sua poetica guardando “I favoriti della luna”. Un film incredibile, complesso, assurdo per chi non entra in una dimensione priva di narrativa tradizionale (la trama in un film di Iosseliani praticamente non esiste) ma ciononostante di una bellezza rara.
Mi colpì allora e mi colpisce oggi, dopo tanto tempo, con un’opera straordinaria come Winter Song. Un film che mantiene inalterate le caratteristiche fondanti della filmica del regista georgiano naturalizzato francese. E questo nonostante sia stato girato nel 2015 con Iosseliani all’epoca 81enne. Non faccio quindi una recensione ma invito tutti a vedere film come questi, perché sono la prova evidente di come la macchina da presa possa diventare strumento per creare opere d’arte di rara bellezza.
Vi dico solo chi è questo georgiano insofferente alla disciplina, al conformismo, a tutto quello che non sia autentico e non formale. Nato a Tblisi nel 1934, conterraneo di Stalin, cresciuto in pieno e prosperoso regime comunista nell’Unione Sovietica è, oltre che regista, diplomato in pianoforte e direzione d’orchestra ed ha studiato per due anni matematica all’Università di Mosca.
E’ anche un poeta, uno sceneggiatore, un montatore meticoloso, ha lavorato in fabbrica ed ha fatto il marinaio. E’ figlio della grandissima scuola di cinema sovietica (è stato allievo di Dovzenko) quella resa popolare in Italia dalla celeberrima battuta di Fantozzi sulla Corazzata Potemkin.
Un personaggio incredibile, osteggiato in tutti i modi dalla censura sovietica tanto da spingerlo all’esilio in Francia nel 1982. La musica e la matematica permeano di sé tutte le sue opere che sono più una sinfonia che un racconto di narrazione. Eppure la sua descrizione degli esseri umani, quasi da entemologo o naturalista, è di una profondità senza pari. La cura della fotografia e del montaggio è un altro chiaro punto di forza.
E’ stato definito da un critico un acquarellista del quotidiano e non a caso. Le singole immagini, di rara perfezione formale, sono come dei quadri, possono ricordare le opere di un Edward Hopper nella scelta della luce, dell’inquadratura ma anche degli oggetti che hanno peraltro un peso di assoluto rilievo.
Non dico di più e penso che il modo migliore di approcciarsi a Iosseliani sia guardare un suo film. Un’esperienza, come è anche per Winter Song, di rara profondità e bellezza.
Voto 4,5/5
*imprenditore, giornalista, fondatore e amministratore del gruppo Terminus
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