Un recente studio dell’Istituto Cattaneo di Bologna, affronta il tema dell’immigrazione, analizza le reazioni contrastanti che suscita anche quando se ne riconosce l’utilità economica, molti, poco intelligentemente, faticano ad accettarla dal punto di vista sociale e culturale. Gli immigrati, troppo spesso vengono considerati “invasori” indesiderati, non risultano benvenuti, è importante domandarsi se, dove e quanto abbiamo bisogno di immigrati, e di quali immigrati. L’analisi ribadisce che dalla crisi del 2008 i flussi migratori verso l’Italia hanno perso vigore, fino a toccare nel 2020 il livello minimo degli ultimi decenni, con un saldo positivo di appena 80 mila unità, nascite comprese. Negli ultimi trent’anni gli arrivi dall’estero hanno largamente sostituito l’immigrazione interna nelle regioni centro-settentrionali, fornendo un contributo decisivo alla crescita del bacino di lavoratori manuali a disposizione di imprese e famiglie, nel 2007 il saldo aveva raggiunto il picco di 500mila unità.
Il declino demografico e l’aumento dei livelli d’istruzione tra i giovani ha prodotto un buco nella disponibilità di manodopera disposta a sobbarcarsi i lavori delle ‘cinque P’: precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente, il mercato del lavoro italiano ne offre ancora parecchi, con un sostanzioso apporto delle famiglie alle prese con la difficoltà di conciliare compiti di cura e impegni di lavoro extradomestici. Gli immigrati hanno raccolto questa richiesta, pur essendo non di rado più istruiti del livello richiesto dai lavori svolti, questa ricerca mi sollecita a raccontare l’esperienza fatta presso una parrocchia romana dove avevamo dato vita a un centro di “Solidarietà” in termini moderni definibile; “politiche attive del lavoro” centinaia di persone provenienti dai paesi dell’Est, dall’America Latina o dall’India alla ricerca di un lavoro il più delle volte venivano occupate le donne come collaboratrici familiari mentre gli uomini riuscivamo a mandarli a lavorare nei cantieri o nelle aziende agricole. Oggi per ogni 100 lavoratori in età di pensionamento, solo 76 (giovani tra i 20 e 24 anni) si candidano a entrare nel mondo del lavoro, al Centro-Nord per ogni tre lavoratori maschi non diplomati che vanno in pensione si registra un solo ingresso.
Proiettando l’analisi al 2036, nelle regioni centro-settentrionali per ogni nuovo ingresso andranno in pensione oltre sei lavoratori a bassa qualifica, per effetto del massiccio deflusso dei figli del baby-boom, un insufficiente ricambio della popolazione lavorativa investirà anche diplomati e laureati, interessando pure il Mezzogiorno. La prospettiva di una ripresa della nostra economia nei prossimi anni, comporterà nuovi fabbisogni di manodopera, se i giovani italiani (comprese le seconde generazioni immigrate) continueranno a competere per le occupazioni migliori, si apriranno spazi per ingressi dall’estero, di conseguenza occorrerà avviare politiche di reclutamento più attive del passato, favorendo l’arrivo di lavoratori preparati, con qualche conoscenza della nostra lingua, e con reti parentali in Italia in grado di appoggiare, come auspica dal Cnel. Lo sviluppo economico è associato all’immigrazione; la attrae, la impiega, ne trae beneficio, al contrario il blocco dell’immigrazione ha come conseguenza la stagnazione dell’economia italiana.
L’immigrazione si concentra nelle regioni più prospere, con più occupazione e più benessere per i nativi, basta pensare a quello che succede in ambito familiare: per ogni donna adulta di classe media che trova un lavoro stabile fuori casa, vi sono buone probabilità che a casa sua si generi almeno un mezzo posto di lavoro, e che a beneficiarne sia una donna immigrata. Ho fatto parte di una commissione presso il ministero del Lavoro che regolava i flussi migratori,sulla base delle richieste che venivano dal mercato del lavoro,ma questa è l’epoca di quando Berta filava e la politica governava. Se vogliamo riprendere a crescere, avremo bisogno d’immigrati. Se arriveranno, vorrà dire che avremo ripreso a crescere.
Alfredo Magnifico