Riceviamo e pubblichiamo
E’ molto tempo che abbiamo capito quanto sia decisivo lo scenario internazionale nel determinare le condizioni materiali di vita delle nostre comunità; in fondo è sempre stato cosi nella storia dell’umanità ma i cittadini del nostro tempo ne hanno scoperto l’impatto enorme e inedito sulle loro vite da quando hanno preso coscienza del cambio epocale in cui siamo entrati col venire avanti della globalizzazione neoliberista. Gli agricoltori, in maniera più o meno consapevole, sono il soggetto sociale che lo ha capito prima di molti altri. Prima che in altri ambiti socio/economici, è proprio in agricoltura che si sono sperimentate, per poi affermarsi, le forme più avanzate di un modello globale che ha travolto la funzione degli stati per come li abbiamo conosciuti all’indomani del loro costituirsi lungo la “rivoluzione industriale” che aveva fatto della produzione delle merci il centro di produzione del valore. La globalizzazione si è consacrata con il primato più estremo del mercato e della sua liberalizzazione ed ha confinato i parlamenti e i governi ad un ruolo di assoluta subalternità fino a relegarli al ruolo di “cani da guardia” degli interessi della finanza e dei poteri economici che governano il mondo. Se avessimo bisogno di una metafora per rappresentare questa sempre più evidente realtà, basta guardare a quanto sta avvenendo a Matera in questi giorni in cui si tiene il Summit dei Minsitri degli esteri del G20. La città “capitale del mondo contadino” è occupata. Letteralmente invasa da un esercito di forze militari. I commercianti costretti a chiudere; una zona rossa che blocca la vita delle persone. Manifestazioni vietate. Per cosa? Perché venti ministri degli esteri di Paesi che si autodefiniscono “GRANDI” si troveranno per recitare il copione che le multinazionali, l’OMC, il Wto, il FMI, la BM avranno scritto per loro. Reciteranno con l’obiettivo di legittimare un modello disastroso che ha prodotto e produce in continuazione disuguaglianze profonde, fondato sull’ingiustizia ambientale ed economica, un modello di mercato fondato sul dumping che ha ridotto il mondo ad uno spazio dove produrre ovunque costi meno (a costo di sfruttare vite e comunità privandole di diritti) per vendere ovunque sia più vantaggioso. Nelle stanze blindate dove i Ministri degli Esteri si incontreranno, la macchina efficace della propaganda del neoliberismo si attiverà con implacabile efficacia. Mentre producono la fame nel mondo, ci racconteranno di voler “risolvere i problemi della fame nel pianeta”, parleranno di mirabolanti obiettivi per garantire la “sicurezza alimentare”, si esibiranno nel voyerismo parolaio del racconto di inenarrabili sforzi per “abbuonare almeno parte del debito dei paesi poveri”, mentre le multinazionali e bande di speculatori, sfruttando le straordinarie opportunità messe loro a disposizione dalla deregolamentazione garantita dai trattati di libero scambio internazionali, saccheggeranno tutto quello che potranno dell’immenso patrimonio di ricchezze di quei paesi e faranno mercimonio della salute imponendo con i brevetti sulle medicine la scelta di chi potrà permettersi di avere salva la vita nelle pandemie e chi no. Un modello insostenibile che per essere mantenuto ha bisogno di politiche “autoritarie e repressive”. L’esercito di poliziotti e 007 che ha invaso Matera e il divieto di movimento è la metafora chiara e limpida della situazione: questo modello va imposto anche a costo di usare la forza. Una metafora che, in realtà, allude e lascia intravedere ben altri e più inquietanti scenari: la corsa alla militarizzazione del mondo, il rafforzamento degli eserciti e degli armamenti con investimenti crescenti è un dato ormai conclamato che il Papa non smette di denunciare. Le guerre, come è sempre più evidente, saranno per il dominio sulle risorse naturali: l’acqua, la terra, il mare, il vento, le fonti energetiche.
I movimenti agricoli del mondo (almeno quelli che come noi si battono per la Sovranità Alimentare) lo hanno capito da tempo, fin dalla fine degli anni ’80, da quando cioè il processo di costruzione del dominio agoralimentare sul mondo da parte della finanza ha cominciato a mordere, preparando un modello che sarebbe poi diventato tanto pervasivo (perchè vincente per i nuovi padroni del mondo) da conformare tutta la società e tutti i settori economici all schema sperimentato proprio nell’agroalimentare. Grandi movimenti contadini in India, in Sudamerica, nel Sud del Mondo fin da quegli anni hanno aperto la stagione delle mobilitazioni contro la globalizzazione neoliberista cui molti altri avrebbero poi partecipato. A Seattle nel 2000, con Genova nel 2001, Cancun nel 2002 si aprì la stagione di una fase nuova in cui i tanti movimenti di resistenza nel mondo che si battevano per la democrazia e la giustizia sociale e ambientale si ritrovavano per provare a coordinare le proprie iniziative e proporre le alternative. E’ cosi che siamo arrivati a Genova nel 2001, nell’onda che stava muovendo tante realtà contadine nel mondo risvegliate dalla consapevolezza dei guasti che il sistema stava producendo, seppur in forme diverse ma in tutto il mondo. Ci siamo arrivati partendo dalle battaglie contro il caporalato nel Metapontino proponendo e realizzando nel mezzo della battaglia di tanti contro la globalizzazione neoliberista, la “piazza e il mercato contadino”. Piazza Rossetti. E’ cosi che nacque Altragricoltura, il percorso che da venti anni sta lavorando a costituire una nuova soggettività di chi la terra la lavora nell’impegno costante di avere le gambe ben piantate nei territori e lo sguardo allo scenario dentro cui far vivere il progetto nuovo per l’Agroalimentare del futuro e dei diritti. A Genova incontrammo il Movimento Contadino Internazionale che si batteva per la Sovranità Alimentare e fummo parte di un grande sviluppo corale che diceva ad alta voce: Voi G8, noi 7 miliardi di persone. Oggi, venti anni dopo, gli abitanti del pianeta sono aumentati di 850 milioni e si avviano a diventare 10 miliardi entro la fine del secolo.
Noi torniamo a scandire le parole: “Voi G20, noi 7,85 miliardi di persone, la giustizia e la democrazia”. Si, avevamo ragione: la povertà e la fame aumentano, le spese per gli armamenti aumentano vertiginosamente, le risorse del pianeta si vanno esaurendo, la democrazia si svuota mentre avanzano nuovi rischi autoritari. Ma non ci consola l’avere ragione, soprattutto non basta più. Ora serve un passo in avanti nel progetto di dare vita all’alternativa a questo modello insostenibile e autoritario. Noi perseguiamo lo scopo come movimento contadino (di agricoltori, pastori, allevatori) ma siamo consapevoli che l’obiettivo di un agroalimentare dei diritti è possibile solo in una società giusta, cui dovremo concorrere in tanti. Bisogna fare presto e superare i nostri tanti limiti, le nostre divisioni, l’autoreferenzialità in cui a volte le nostre esperienze si costringono nel tempo della sconfitta. Serve un progetto che tenga insieme i tanti che si battono per la democrazia e la giustizia e che si sottraggono dalla tentazione continua di sedere sotto il ricco tavolo imbandito del desco dei potenti per rimediare qualche tozzo di pane che dovesse cadere per sbaglio. Bisogna farlo ricostruendo uno spazio pubblico di confronto, un laboratorio per mettere in campo le alternative come furono per una fase i fori sociali in cui siamo nati. Non è nostalgia del passato è scommessa per il futuro: fra i cittadini e il potere c’è un deserto sociale che le vecchie forme della politica e dell’organizzazione non sanno più occupare, perché non sono espressione di un progetto di cambiamento vero. Sabato a Matera non c’erano le masse ma c’erano le ragioni per cui i cittadini lucani come quelli di tutta Italia e del Pianeta possono tornare a guardare al futuro. Io, mentre mi preparo a tornare a Genova venti anni dopo, ero in quella piazza assolata per portare con orgoglio le ragioni dell’Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare, contribuendo a far sentire alta la voce di chi si oppone al racconto propagandistico del potere. L’aver detto forte che “L’unica politica estera che ci piace è quella del disarmo, della pace e che prepara la Sovranità Alimentare” un prezioso punto da coltivare insieme. Ora avanti a ricostruire uno spazio pubblico abbandonato dalla politica riempendolo del progetto della Società Nuova di cui abbiamo bisogno
Gianni Fabbris (portavoce dell’Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare)