di Pietro Colagiovanni
Tra le cose che mi hanno recentemente colpito, purtroppo in forma negativa, c’è l’ennesima saga burocratica di uno Stato, quello italiano, organizzato in modo pessimo: il passaporto. La sua emissione o il suo rinnovo sono tra le cose peggiori che possano capire ad un cittadino italiano, quasi alla pari con un ricovero in un ospedale pubblico della nostra amata nazione. L’assurdità della procedura per il rilascio (o il rinnovo, è lo stesso sostanzialmente) di un passaporto è il combinato disposto di due gravi patologie dello Stato italiano, una ideologica l’altra pratica. Partiamo dalla prima. La concessione di un passaporto, nonostante i tanti decenni di vita democratica, è un iter profondamente impregnato da un concetto autoritario dello Stato. Il passaporto viene considerato, e le procedure a presidio ne sono fortemente intrise, non come un normale documento d’identità necessario per i viaggi ma una specie di privilegio che lo Stato ti accorda (da qui anche il termine di concessione) se sei rispettoso del suo indiscusso potere e prestigio. Questa concezione autocratica del passaporto è così forte che a rilasciarlo non è un normale ufficio pubblico bensì uno dei simboli del potere statale, la sua polizia. Uno cosa priva di senso, retaggio di un’altra epoca storica ma foriera di un forte e fatale appesantimento burocratico, visto che l’autorità di pubblica sicurezza ha per sua natura una logica poco adatta alla concessione di un semplice documento di identificazione. Detto questo su una logica sbagliata e superata, da Stato padrone e cittadino suddito, si innesta una delle peggiori burocrazie al mondo, un guazzabuglio ingovernabile di norme che rende la vita al cittadino sempre più difficile. Vi risparmio i dettagli di una procedura insensata, talmente insensata che è salita anche agli onori della cronaca. Le Questure infatti hanno accumulato talmente tanti ritardi nel rilascio dei passaporti da far saltare viaggi all’estero a migliaia di italiani, con conseguenti clamorosi danni all’industria turistica nazionale, già provata dall’insensata gestione della pandemia. Vi segnalo solo due chicche. La prima è la possibilità di fissare un appuntamento con l’ufficio preposto per il rilascio del documento, addirittura con prenotazione online. Io l’ho fatto, con tanto di Spid, per arrivare ad un risultato deprimente: gli appuntamenti non erano possibili presso la questura della mia città e quelli presso la città più vicina era disponibili solo a distanza di sei mesi. Quindi si fa come fanno tutti: ammucchiata davanti alla Questura, per un massimo di 20 fortunati , previa estrazione di un numerino, stile banco salumi di un supermercato, e attese di diverse ore se si è fortunati nella pesca del medesimo numerino. Secondo aspetto grottesco della procedura. Se vuoi un passaporto deve ovviamente pagare un ulteriore balzello allo Stato, neanche piccolo, un centinaio di euro circa. Evidentemente tutte le tasse che paghiamo non sono sufficienti e ti viene da chiederti dove vanno a finire tutto questo fiume di soldi che ogni cittadino italiano ogni anno versa ricevendo servizi mediamente scadenti se non oltre. Ma non è questo il punto. Il punto è come devi pagare l’obolo. Una cosa medievale, in pieno terzo millennio. Il pagamento del balzello si può fare solo con appositi bollettini, CHE NON SI POSSONO ASSOLUTAMENTE PAGARE ONLINE, ma solo dopo un ulteriore fila, rigorosamente di persona, in qualsiasi ufficio postale. Una follia che qualcuno, un legislatore, un dirigente della pubblica amministrazione, un alto papavero del ministero degli Interni mi dovrebbe cortesemente spiegare. Un consiglio alla fine: se potete il passaporto non lo richiedete proprio, ne va della vostra salute. Scegliete di viaggiare in Italia che è un posto meraviglioso, uno dei paesi più belli al mondo. E’ però una nazione amministrata da una delle peggiori burocrazie al mondo, e allora, purtroppo, il passaporto vi servirà per fuggire da un paese gestito in maniera tanto scadente.