L’Italia si caratterizza per avere una popolazione longeva (81 anni gli uomini e 85 le donne) con una quota di over 65 tra le più alte al mondo, in crescita fino al 2047, quando saranno 20 milioni (34%).
Il fenomeno dell’invecchiamento è rilevante per le conseguenze sociali e per quelle economiche in termini di spesa pensionistica, sanitaria e di sostenibilità del sistema pensionistico.
L’indice di dipendenza degli anziani nel 2019 è salito a 35,7%, il valore più elevato in Europa (nella media Ue è al 30,5%) e il secondo al mondo dopo quello del Giappone (46%).
L’indice, calcolato come rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età attiva (15-64) segnala nel caso dell’Italia che ogni tre persone di età 15-64 anni potenzialmente attiva nel mercato del lavoro (in qualità di occupati o di persone in cerca di lavoro) ve n’è una considerata inattiva perché ha un’età superiore ai 65 anni.
L’affiancamento anziani giovani potrebbe essere un’opportunità di crescita per anziani e giovani, infatti l’invecchiamento della, popolazione europea lancia molte sfide ai responsabili delle politiche in relazione all’occupazione, alle condizioni di lavoro, agli standard di vita e al welfare, in quanto è all’origine di preoccupazioni sulla sostenibilità dei sistemi pensionistici e sull’offerta di lavoro.
Un invecchiamento attivo, con il prolungamento dell’età lavorativa, e con il servizio dell’inserimento dei giovani, potrebbe essere un aspetto dell’economia della Terza età, che sta emergendo sempre con più forza in risposta alle maggiori aspettative di vita e sta plasmando numerosi settori: dall’edilizia abitativa ai trasporti, dall’alimentazione alle assicurazioni, dalla tecnologia alla salute, dalle comunicazioni allo sport, dal tempo libero ai viaggi.
La promozione di opportunità di lavoro per una forza lavoro che invecchia richiede nuove idee a livello aziendale, nazionale e comunitario.
Un’indagine condotta rileva che tra le barriere principali per i responsabili delle risorse umane a reperire professionisti senior ci sono: la mancanza di competenze legate a nuove tecnologie e digitali (32%),la difficoltà a integrarsi con le modalità di lavoro delle nuove generazioni (27%) o a riportare a manager anagraficamente più giovani (26%), insieme a ragioni legate all’abilità fisica e alla salute (25%).
Ai lavoratori senior viene riconosciuta ampia conoscenza del business (36%) e degli strumenti di lavoro (30%), capacità di “insegnare” e trasferire competenze agli altri colleghi (35%), oltre a grande affidabilità e autonomia (30%). Tanto che, al raggiungimento dell’età pensionabile, (quasi) un Hr su due vorrebbe trattenere in azienda le proprie risorse senior.
Un collante tra le diverse generazioni di lavoratori potrebbe arrivare dalla formazione. Entro il 2027, infatti, ci saranno risorse notevoli da dedicare a questo ambito.
Eurostat segnala che in Italia i ragazzi che non studiano e non lavorano sono il 25,1% della popolazione dai 15 ai 34 anni, cioè complessivamente più di tre milioni. Un dato preoccupante, così come anche chi è “occupabile” rinunci per motivi diversi a entrare nel mondo produttivo. C’è da ricostruire il “valore” del lavoro non con la retorica, ma con imprese, occupazione e stipendi davvero remunerativi. A partire anche dall’affiancamento lavoratori esperti-apprendisti (per esempio con contratti di tutoraggio).
C’è da ricostruire il “valore” del lavoro non con la retorica, ma con imprese, occupazione e stipendi davvero remunerativi, a partire anche dall’affiancamento lavoratori esperti-apprendisti (anche con contratti di tutoraggio).
I lavoratori anziani esperti possono diventare la vera risorsa per le aziende.
Alfredo Magnifico