Lavoro/ Salario minimo: in tre milioni sono sotto

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Alfredo Magnifico

I dati Ocse riportano che gli stipendi degli italiani sono sempre più bassi, il loro potere d’acquisto è in calo dal 1990, più che in qualunque altro Paese sviluppato, dulcis in fundo, nell’ultimo anno sono diminuiti del 7%.

I partiti di opposizione propongono un salario minimo definito per legge a 9 euro lordi l’ora, che per un dipendente a tempo pieno fanno 1.550 euro lordi mese su 12 mensilità (circa 1.200 netti), una cifra al limite della sussistenza, Istat riporta che quasi 3 milioni di dipendenti sono sotto, in media, di 804 euro l’anno.

22 Paesi UE su 27 e 30 su 38 Paesi Ocse applicano il salario minimo parametrato al costo della vita e all’andamento del mercato del lavoro ad es. in Germania non si scende sotto i 2.080 euro lordi al mese, in Belgio 1.900, in Francia 1.750, in Spagna 1.250, la paga oraria minima non c’è solo in Italia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Austria.

Con l’introduzione del salario minimo a 9 euro lordi, le imprese nel loro insieme dovrebbero aumentare il monte salari di oltre 2,8 miliardi.

I detrattori del salario minimo sostengono che potrebbe innescare un meccanismo al ribasso: chi oggi paga meno di 9 euro con un contratto regolare potrebbe ricorrere al nero; chi invece applica un contratto poco sopra i 9 euro l’ora sarebbe tentato di abbandonarlo per passare al salario minimo, nei Paesi europei che già hanno introdotto il salario minimo non è avvenuto, il nero rimane la vera piaga tipica del nostro Paese, andrebbe stroncata con maggiori controlli.

Il Cnel si è espresso sul salario minimo con 39 consiglieri su 62 contrari, asserendo che è un provvedimento non necessario poichè in Italia la contrattazione collettiva è forte e definisce già i salari minimi per ogni settore.

La stessa Commissione europea è convinta che un salario minimo contrattato è preferibile ad uno definito per legge, tanto che impone il salario legale ai Paesi dove la contrattazione nazionale copre meno dell’80% dei dipendenti.

In Italia la contrattazione fra le parti sociali copre oltre il 95% dei lavoratori: il 92% con contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil e il 3% dai sindacati minori, ad avere il contratto di una sigla pirata, nata apposta per firmare accordi a ribasso, è lo 0,4% dei lavoratori dipendenti.

Ma, la Fondazione consulenti del lavoro, analizzando i principali accordi, ha individuato 22 contratti di categoria sotto i 9 euro lordi l’ora, firmati da Cgil, Cisl e Uil: dal personale delle cooperative ai consorzi agricoli con retribuzioni d’ingresso a 8,4 euro; dai dipendenti delle imprese di pulizia a 8,1; ai dipendenti dell’industria delle calzature a 7,9 o del vetro a 7,1, fino ad arrivare agli addetti della vigilanza pagati 5,37 euro ora, contratto firmato non da sindacati di comodo, ma da quelli confederali con il mondo delle cooperative.

In questo caso è intervenuta la Cassazione, con la sentenza del 2 ottobre scorso, ha definito l’accordo non in linea con la Costituzione (articolo 36), perché la retribuzione garantita non ha le caratteristiche di «proporzionalità e sufficienza.

Da anni la contrattazione in molti settori non riesce più a negoziare salari decenti; accordi a ribasso sono firmati da associazioni di imprese che fanno riferimento al mondo delle piccole aziende e della cooperazione, qualcuno da Confindustria, questo avviene anche per il fatto che i sindacati in molti settori si sono indeboliti, o nelle aziende piccole non riescono nemmeno a entrare (in Italia il 95% delle imprese è sotto i 10 dipendenti), inoltre, proliferano i contratti flessibili e chi non è stabile difficilmente protesta.

Nel settore privato i contratti sono un migliaio; dall’alimentare al tessile ai servizi, spezzettati in una enormità di sotto settori dal contratto dei florovivaisti, alle società che fanno derattizzazione, dagli installatori di piscine, ai produttori di spazzole e pennelli, a quello delle lampade, chi esce dal «contratto madre» punta a dare ai dipendenti uno stipendio più basso e minori garanzie. Il comparto alimentare: facevano riferimento a Federalimentare 13 associazioni di categoria (i produttori di latte, bevande, acque minerali, di trasformazione, ecc.), tutte con un contratto unico, si sono staccate quelle che rappresentano i produttori di farine, di mangimi e carni, e stanno negoziando un contratto a parte, di certo a ribasso. Nascono sempre nuove associazioni d’ imprese, ognuna firma un suo contratto, così ci sono 242 contratti nazionali solo nel settore dei servizi e nel metalmeccanico 50,,rispetto a quello principale ,firmato da Federmeccanica, c’è il contratto degli artigiani metalmeccanici con 480 euro lordi in meno al mese,(analisi Fiom Cgil), a firmare l’accordo con Federmeccanica e quello con gli artigiani dell’industria sono sempre Cgil, Cisl e Uil.

I contratti nazionali andrebbero rinnovati ogni tre anni, ma il 57% è scaduto da tempo, la percentuale sale addirittura al 96% nei servizi dove sono fuori tempo massimo  i contratti dei servizi di Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione (scaduti nel 2019), Turismo e Pubblici esercizi Confcommercio (scaduto nel 2021), sono coinvolti in questo ritardo oltre 7,5 milioni di dipendenti che devono fare i conti con inflazione e rincari.

Sui circa 1000 contratti nazionali, 353 sono siglati anche da sindacati non rappresentati al Cnel o firmati da associazioni di comodo per produrre accordi al ribasso, ma riguardano 54 mila lavoratori, si tratta di un pugno di aziende che si mettono insieme con il supporto di un consulente del lavoro e di un sindacato compiacente.

Federconcia, associazione di una ventina di imprese del distretto veneto della concia di Arzignano, nata a giugno 2021 per firmare tre mesi dopo un contratto di categoria con un sindacato sconosciuto, il Confial, in concorrenza con il contratto del settore. Cgil, Cisl e Uil chimici si sono rivolti al tribunale contestando il comportamento antisindacale e hanno vinto, ma solo nelle aziende in cui erano presenti, in quelle più piccole, dove non hanno rappresentanti, il contratto continua ad essere applicato.

Il Cnel dice no al salario minimo ma non spiega come si rilancia la contrattazione. Sembra che la Fondazione consulenti del lavoro abbia un’idea:

·        definire i settori, prendere per ciascuno l’accordo più rappresentativo, applicare la paga minima e le tutele al resto del comparto.

·        misurare la rappresentanza dei sindacati e delle associazioni delle imprese:

·        definire i settori,

·        prendere per ciascuno l’accordo più rappresentativo per numero di aziende, dipendenti e valore prodotto,

·        applicare la paga minima e le tutele al resto del comparto,

·        vietare accordi peggiorativi.

·        le altre organizzazioni potrebbero contrattare, ma soltanto al rialzo.

Dubito che questo governo lo faccia, ho la certezza che chi oggi sbraita per il salario minimo quando era al governo non ha mosso dito.

Si parla di erogare sussidi per i salari troppo bassi e/o integrare le pensioni minime, scaricando tutto a carico della fiscalità generale, quando si potrebbe razionalmente percorrere la strada maestra.

Alfredo Magnifico