Lavoratori Italiani al bivio: lavorare più anni o avere una pensione più bassa?

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Alfredo Magnifico

Secondo l’Ocse gli italiani che cominciano a lavorare oggi andranno in pensione a settantuno anni, è un dato che colpisce, anche se non è una novità.

in molti casi l’età della pensione è collegata alla speranza di vita alla nascita, come in Italia, dove sono stati trovati escamotage come quota Cento o quota Centotrè o Opzione Donna, per abbassarla. 

La differenza tra l’Italia e il resto d’Europa è enorme, solo da noi a questa voce si dedicano tante risorse, il 16,7% del Pil, risulta chiaro il divario tra l’Europa e il resto del mondo.

Il gruppo di Paesi in cui l’età pensionistica legale crescerà di più sarà quello composto da alcuni Stati europei in cui la spesa previdenziale è più alta, Italia in testa.

L’Italia ha un elevato tasso di sostituzione delle pensioni, ovvero dove l’ammontare dell’assegno si allontana meno dal reddito lavorativo; un lavoratore medio di genere maschile riesce a conservare l’82,6% dei guadagni quando si ritira, i Paesi extra europei si distinguono: in Corea del Sud il tasso di sostituzione medio è solo del 35,8%, in Canada del 44,2%, in Giappone del 38,8%, negli Stati Uniti del 50,5%. 

L’Italia, poi, unisce ad un alto tasso di sostituzione delle pensioni a una fertilità molto bassa, come altri Paesi mediterranei, dalla Grecia al Portogallo alla Spagna.

I nostri pensionati e buona parte di quelli europei hanno entrate più che decenti nonostante pochi di loro rimangano al lavoro oltre l’età legale del ritiro.

In Italia a lavorare tra i sessantacinque e i sessantanove anni sono solo il 12,8%, in Spagna il 9,5, in Francia il 9,9, mediamente nella Ue il 16,7%, è proprio laddove si guadagna di più, in proporzione, che gli over sessantacinque lavorano meno, e se ci si pensa non è affatto strano, non ne hanno bisogno.

Nel nostro Paese si andrà in pensione sempre più tardi, perché qui e, in parte, negli Stati vicini coesistono tutti i fattori che rendono le politiche previdenziali insostenibili: alta spesa pensionistica in proporzione al Pil e al budget statale; alto tasso di sostituzione, ovvero pensioni generose in rapporto ai redditi di lavoro; basso tasso di fertilità e massimo invecchiamento della popolazione; basso tasso di occupazione di chi ha più di sessantacinque anni.

In nessun Paese extra europeo sono presenti tutti questi elementi contemporaneamente.

Se la società è molto anziana, si compensa lavorando più a lungo e riducendo l’ammontare degli assegni, perlomeno di quelli pagati dallo Stato.

Siamo di fronte a due modelli diversi, da un lato il modello europeo, frutto dell’innesto del boom economico dei tempi che furono in un sistema solidaristico in cui i cittadini delegano allo Stato la gestione della propria previdenza. Un sistema cementato dall’invecchiamento della popolazione, la quale, essendo più anziana, chiede sicurezza, certezze, e rifugge il rischio e l’incertezza, anche a discapito della crescita.

Dall’altro un modello privatistico, in cui il settore privato e le scelte dell’individuo hanno più valore, in cui in un certo senso è il cittadino a provvedere a sè stesso prima dello Stato, e in cui quest’ultimo privilegia lo sviluppo economico e plasma la spesa anche in funzione di questo.

Nella salute, in Giappone lo Stato spende esattamente come per la previdenza, il 9,98%, mentre in Italia la sanità riceve fondi del sessantadue per cento più bassi di quelli che vanno alle pensioni.

Nelle politiche attive per il lavoro, nei Paesi anglosassoni si dedica una quota del bilancio quattro volte maggiore che da noi.

Siamo di fronte a una scelta; dobbiamo decidere se rinunciare a qualcosa che diamo per scontato o rassegnarci ad andare in pensione sempre più tardi.

Dobbiamo comprendere se siamo disponibili a lavorare anche sulla soglia dei settant’anni o anche oltre, come in Asia, o se accettare assegni più modesti, per esempio cambiando le regole sulla pensione di reversibilità, o se dedicare molte più risorse personali alla previdenza integrativa privata, già da giovani, come in Stati Uniti e in Canada.

Quello che non possiamo fare è pensare di proseguire con il vecchio modo di fare business basato su compiti ripetitivi e nessun senso critico per il miglioramento, salvo scandalizzarsi dell’impennata dell’età della pensione, matematicamente non può funzionare, se le nascite non torneranno a crescere e l’immigrazione incontrerà sempre resistenze.

Le resistenze e l’incapacità di accettare la realtà che cambia sono la nostra cifra da un po’ di tempo, la esprimiamo ai massimi livelli proprio nel campo delle pensioni.

Alfredo Magnifico