Assegno di inclusione, è il caos

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Alfredo Magnifico

L’assegno di inclusione voluto dal governo al posto del reddito di cittadinanza è una misura iniqua, che non è stata adeguatamente comunicata e preparata e che, oltre a lasciare in povertà estrema tante famiglie, mette in grossa difficoltà i servizi sociali territoriali.

Oltre il 54% dei percettori del Reddito di Cittadinanza non beneficia dell’Assegno di inclusione (ADI) in base ai nuovi criteri della misura voluta dal governo Meloni.

La stima prevede che complessivamente beneficeranno dell’ADI 854.000 famiglie, di cui 66.000 nuovi accessi, in virtù dei nuovi criteri, per un totale di 1.971.000 persone.

Secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al 12 dicembre erano invece 127.217 le persone che avevano fatto domanda per il Supporto formazione e lavoro -SFL sul sito dell’INPS o attraverso un Patronato.

il Consiglio Nazionale degli Assistenti Sociali e la Fondazione Nazionale Assistenti Sociali propongono una “checklist” volta a supportare e migliorare l’attività nei servizi, nella consapevolezza che “la capacità della nuova misura di incidere concretamente a favore di singoli e famiglie in condizioni di esclusione e povertà dipende da quanto organizzazioni e professionisti saranno in grado di svolgere al meglio i loro mandati“ tradotto, assumere più di 3.000 assistenti sociali.

Il groviglio normativo complica l’azione di contrasto alle tante emergenze sociali che attraversano il Paese e che si scaricano in definitiva sui comuni e le anomalie denunciate sono il frutto dell’assenza di adeguati controlli.

Sul Reddito di Cittadinanza (RdC), la destra, da sempre, ne ha fatto uno scontro ideologico e lo ha messo nel mirino, ritenendolo una misura che incentiva l’ozio e favorisce i furbetti, o addirittura le organizzazioni criminali.

Certamente uno schema universalistico di reddito minimo come il RdC (con tutti i limiti in termini di equità ed efficienza, bisognoso di modifiche nella governance e nell’implementazione nei territori, costituisce un tassello importante del sistema di protezione sociale italiano.

La riforma Meloni”, non smantella il sostegno ai poveri, anzi, ne conferma la natura di diritto soggettivo per quanti ricadono nelle condizioni previste ma la categorialità che caratterizza la misura, segmenta la platea dei poveri, in modo iniquo, inefficace e poco efficiente.

Iniquo perché tratta in modo anche radicalmente diverso situazioni simili, all’applicazione di una selettività non graduale, da “dentro o fuori”.

Inefficace perché la riforma è disegnata in modo farraginoso, con misure distinte ma con rimandi certamente non lineari tra loro riferito alla composizione delle platee degli aventi diritto.

Poco efficiente perché, sotto l’ipotesi di take-up pieno, i risparmi sono poco consistenti.

La farraginosità della legge renderà difficoltoso l’accesso alle misure, aumentando i risparmi di spesa, se si riteneva che occorresse una misura di contrasto alla povertà, l’obiettivo sarebbe dovuto essere quello di raggiungere l’intera platea dei potenziali beneficiari.

La riforma Meloni è un’occasione persa per imparare dagli errori del RdC, poiché impoverisce e inaridisce il sostegno ai poveri e manca di una visione di speranza nel futuro.

Alfredo Magnifico