L’occupazione cresce, ma solo nelle fasce a basso reddito

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Alfredo Magnifico

La disponibilità effettiva è calcolata sommando redditi e trasferimenti monetari ricevuti, meno le tasse; con un coefficiente familiare, cosi che per ogni persona viene individuato un reddito effettivamente disponibile.

Il 2022 è stato un anno di ripresa occupazionale rispetto al 2019 si è passato dal 59% al 60,1% (+1,1 punti percentuali), la disoccupazione si è ridotta dal 10,1% al 8,2%, (-1,9 punti).

Il tasso di occupazione è ripartito in crescita ma in maniera differente fra le classi di reddito, nel 2022 rispetto al 2019, i tassi di occupazione sono cresciuti di più nelle classi di reddito basse, +2% nel primo quinto e +1,7% nel secondo, mentre nella quarta, i redditi medio-alti, il tasso di occupazione è sceso.

I tassi di disoccupazione sono scesi molto di più per le classi a redditi bassi: nel primo quinto sono calati del 5%, nel secondo quinto del 2,9%.

La classe a reddito più basso ha un tasso di occupazione pari al 37,7%, il 20% dei più ricchi ha un tasso di occupazione del 78,5%, più del doppio.

Nei giovani tra i 25 e i 34 l’occupazione cresce in tutti i quinti di reddito, ma soprattutto in quello più basso,+3,9 e aumenta, anche al crescere del livello di istruzione, con vantaggio crescente per i laureati. Nel quinto più povero i più istruiti raggiungono un tasso di occupazione pari al 54,7% (+23,4 punti percentuali rispetto a chi ha al massimo la licenza media), mentre nel quinto più ricco il tasso è del 89,1% (+31,7 punti rispetto ai meno istruiti).

L’occupazione cresce,inoltre, più per i maschi che per le femmine e cresce il tempo indeterminato nei redditi medi e crescono i contratti a termine per i redditi bassi..

Nei servizi personali e negli Alberghi e ristoranti trova lavoro circa il 5% degli individui dei due quinti più poveri, nel Commercio e nei servizi di Trasporto si trovano le quote più elevate di individui nella penultima classe di reddito, come del resto avviene nell’Industria in senso stretto.

Insomma, la crescita occupazionale avviene di più nelle classi più povere, che povere e disoccupate restano, avviene, soprattutto  in alcune mansioni e nei contratti instabili, non proprio una crescita di qualità, invece  va a beneficio della classe a reddito più elevato.

Istat ha seguito le carriere nel tempo, in un arco di 7 anni fra il 2015 e il 2021 il reddito medio annuo è stato di circa 20.000 euro, con una variabilità negli anni del 54%, che dipende dal fatto che non tutti i lavoratori hanno lavorato tutti gli anni.

I lavoratori con redditi più bassi della media e variabilità più alta sono i dipendenti a tempo determinato, a part-time involontario e gli autonomi senza dipendenti; i settori in cui prevalentemente lavorano sono i servizi personali, l’agricoltura, le costruzioni, gli alberghi e i ristoranti.

Dal punto di vista demografico si tratta di donne, giovani e stranieri prevalentemente nel Mezzogiorno del Paese.

L’analisi chiarisce che l’uscita dalla pandemia e la crescita occupazionale, confermata anche per il 2023 e per i primi 2 mesi del 2024, è avvenuta principalmente attraverso tre dinamiche:

·        la leggera riduzione occupazionale delle classi a reddito medio, compensata dalla crescita della stabilità,

·        la crescita ridotta ma di qualità nelle classi a reddito più alto,

·        la crescita instabile e in alcune aree dei servizi per i redditi bassi, che bassi e precari restano.

Certo, meglio lavorare che non far nulla, e meglio un reddito basso e instabile che nessun reddito, ma se il salario non basta più per garantire consumi regolari, sicurezza e progressione sociale.

La politica dovrebbe porsi una domanda; cosa ci darà una maggiore domanda interna e cosa darà stabilità allo sviluppo?

Se non si rinnovano i contratti, se non si rivedono i salari, il popolo continuerà a vivere in sofferenza e Maria Antonietta continuerà a suggerire che in alternativa al pane possono mangiare i biscotti.

Alfredo Magnifico