Dal 1990 le paghe dei lavoratori non fanno che andare indietro, al contrario aumentano negli altri paesi, in Italia sale solo il costo della vita e delle case.
La questione salariale riguarda non solo i lavoratori a bassa qualifica ma anche i lavoratori qualificati, spesso incastrati in percorsi di carriera congelati, con salari bassi e rarissime promozioni, di questi solo il 9% dei dipendenti full time ha una busta paga sopra i 40mila euro lordi, poche aziende provano a trattenere i propri talenti con aumenti di salario e promozioni di carriera.
Quando si parla di redditi insoddisfacenti, il riferimento corre ai pensionati, ma la caduta degli stipendi, ininterrotta ormai da decenni, è il segno di come ormai si sia bloccato l’ascensore sociale.
Per la grande maggioranza dei lavoratori italiani il problema è che è sempre più difficile ottenere aumenti e avanzamenti di carriera:
· solo il 34% sente di poter parlare liberamente con il proprio capo delle aspettative di carriera
· quasi metà (49%) in passato ha richiesto al proprio capo un miglioramento di condizioni o retribuzione, senza ottenerlo
· nel 60% dei casi, il datore di lavoro italiano non parla mai di possibilità di avanzamento di carriera.
Da trent’anni in tarlo sta divorando i salari degli italiani, la politica in tutt’altre faccende affaccendata, sembra ignorarlo, poi la statistica dell’Ocse fa scoprire la verità; gli italiani, a parità di lavoro e di gradi gerarchici, guadagnano meno, molto meno dei colleghi tedeschi, francesi, spagnoli.
L’Ocse calcola che, a parità di potere d’acquisto, il salario medio di un lavoratore italiano dal 1990 a oggi è sceso del 2,9%, mentre nello stesso arco di tempo, in Francia e in Germania i salari medi sono cresciuti più del 30% e negli Stati Uniti di quasi il 40%.
A Milano, dove gli stipendi sono tra i più alti d’Italia con una media di 35 mila euro all’anno, ogni lavoratore dal 1990 ha perso in busta paga qualcosa come 1.000 euro, la sua ricchezza è diminuita, invece di aumentare, e nel frattempo i prezzi per acquistare o affittare una casa sono triplicati, e anche l’aumento della spesa è andato ben oltre il tasso annuo di inflazione.
Il problema dei bassi salari c’è ovunque, anche nel lavoro qualificato, e potrebbe essere causato da una mancanza di concorrenza tra imprese nel procacciarsi i lavoratori, per dirla più chiaramente: possono permettersi di pagarli poco.
Il problema dei salari bassi italiani riguarda la mancanza tra i lavoratori full time di posizioni alte, con pochi salari sopra i 40mila euro lordi annui, nel 2021 solo il 9% aveva una busta paga sopra questa cifra.
Le motivazioni sono diverse:
· l’incapacità dell’Italia di attrarre nuove imprese per aumentare la concorrenza,
· la difficoltà delle aziende medie e grandi di rinnovare le gerarchie aziendali, offrendo retribuzioni e percorsi di carriera stimolanti
· i giovani che, da vent’anni, sono sempre più spinti in fondo alle piramidi aziendali,
· i più anziani che restano al comando con stipendi più alti.
Non meravigliamoci se i manager italiani emigrati all’estero non hanno nessuna voglia di tornare in Italia. Solo il 22,8% dice di vuole rientrare, la metà di dieci anni fa, per l’80% lavorare all’estero premia il merito, al contrario dell’Italia, e tre su cinque ritengono di poter cogliere maggiori opportunità di crescita professionale fuori dai confini nazionali.
I lavoratori guadagnano sempre meno, ma questo problema non sembra interessare più di tanto chi potrebbe incidere per invertire la rotta. Da decenni, proprio in concomitanza della caduta verticale del potere d’acquisto dei salari, nessuno si occupa più di quella che una volta si chiamava «la politica dei redditi». Interventi a difesa del potere d’acquisto dello stipendio.
I sindacati scattano con mobilitazioni se si paventa, il rischio di un intervento sulle pensioni, che, ormai, formano la maggioranza degli iscritti, purtroppo la voce dei lavoratori dipendenti diventa sempre più flebile.
Gli strumenti di difesa che i lavoratori sono riusciti a mettere in campo, riguardano; la loro straordinaria capacità di adattamento, attingendo dai risparmi, oppure mettendo a reddito qualcosa del loro patrimonio, per esempio la seconda casa, poi c’è il lavoro nero, o sommerso che dilaga anche in materia di premi che gli imprenditori sono ben contenti di dare sotto questa forma. e infine il doppio lavoro.
La domanda che sorge spontanea è; “cosa fare per alzare gli stipendi?”
Ci sono tre azioni possibili, tutte di natura politica;ridurre il cuneo fiscale, la differenza tra i soldi pagati dall’imprenditore e quelli incassati dal lavoratore (in pratica le tasse sugli stipendi), a favore dei dipendenti, riprendere a tessere una vera politica dei redditi, che proponga sia il tema dell’aumento degli stipendi, sia l’equità salariale tra uomo e donna e sia il pagamento minimo per un’ora di lavoro.
Infine, bisognerebbe ragionare di più sulla possibilità di “Lavorare tutti, lavorare meno”, un vecchio slogan dietro il quale c’è una precisa scelta politica che, se fosse possibile realizzare, porterebbe a un aumento di fatto dell’occupazione e degli stipendi.
Alfredo Magnifico