Stress da lavoro a carico dell’azienda. INAIL: “Ma solo dopo esami rigorosi”

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La Sovrintendenza medica: “Ogni anno ritenuto di origine professionale il 10-15% delle circa 500 denunce legate a questo tipo di disturbi. Necessario un percorso di accertamento obiettivo che riguardi non solo l’inquadramento clinico, ma soprattutto l’identificazione oggettiva dell’esistenza di un’efficiente causa psicostressante”

Sul posto di lavoro i carichi di tensione sono, spesso, all’ordine del giorno. Turni troppo lunghi, dissidi con i colleghi, ansia da prestazione, mettono a rischio il benessere dell’ufficio. Ora, però, le aziende saranno obbligate per legge a misurare il livello di stress dei propri dipendenti. Lo dice la circolare del 18 novembre 2010 del ministero del Lavoro, in cui sono contenute le linee guida necessarie per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato, così come previsto dal Testo unico 81/2008 sulla sicurezza sul lavoro.
Il nuovo documento obbliga le imprese da gennaio 2011, a rivedere il Documento di valutazione del rischio e definisce i principi e le procedure per valutare le cause dello stress. Anche l’INAIL ha partecipato attivamente alla stesura del testo. Esperti dell’Istituto, tra cui due medici della Sovrintendenza, hanno fatto parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro, che ha elaborato le indicazioni secondo i contenuti dell’Accordo europeo del 2004. Per l’Istituto, infatti, queste patologie non sono una novità. Da tempo vengono compresi nella tutela assicurativa anche quei casi di patologie psichiche e psicosomatiche dovuti all’ esposizione a un evento “stressogeno” acuto.
“Negli ultimi anni la problematica si è estesa alle situazioni patologiche che alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro possono avere su alcuni individui, che non sono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro”, spiega Marta Clemente, dirigente della Sovrintendenza medica dell’Istituto. “In totale le denunce pervenute all’INAIL per questo tipo di disturbi sono circa 500 l’anno. Solo nel 10-15% dei casi, però, sono state ritenute malattie di origine professionale. “Trattandosi di patologie a origine multifattoriale, il percorso metodologico per l’accertamento del nesso causale tra condizione/rischio e malattia denunciata segue lo stesso iter accertativo previsto per le altre malattie professionali”, continua Clemente, “e necessita di un atteggiamento rigoroso e obiettivo, che riguarda non solo l’inquadramento clinico della malattia, ma soprattutto l’identificazione oggettiva dell’esistenza di un’efficiente causa lavorativa psicostressante”.
Alla luce delle nuove disposizioni la valutazione del rischio stress correlato è un obbligo a carico del datore di lavoro, che dopo aver consultato i rappresentati dei lavoratori per la sicurezza, deve pianificare un percorso di intervento che comprende l’identificazione di eventuali fattori di pericolo, programmare le soluzioni correttive e monitorarne nel tempo gli effetti. “La valutazione prende in esame non i singoli soggetti, ma gruppi omogenei di lavoratori che risultino esposti a rischi dello stesso tipo, secondo un’analisi che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione dell’organizzazione aziendale”, aggiunge la dottoressa. “Possono essere, per esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato ufficio oppure chi svolge la medesima mansione”.
Secondo le direttive del ministero va fatta una valutazione preliminare in cui vengono presi in esame gli indici infortunistici, le assenze per malattia, le lamentele dei dipendenti, ma anche gli orari di lavoro e le turnazioni. Se questa rivela situazioni di rischio, e se le misure adottate dal datore di lavoro risultano inefficaci, si procede a una seconda valutazione più approfondita, che prevede l’analisi della situazione organizzativa attraverso strumenti come i focus group, le interviste semistrutturate o i questionari. Nelle grandi aziende questo tipo di indagine può essere fatta su un campione rappresentativo di lavoratori.
“L’INAIL partecipa attivamente alla costruzione di una cultura della sicurezza al fine di migliorare la tutela della salute dei lavoratori principalmente attraverso l’attività di formazione e informazione ai lavoratori, ai datori di lavoro e alle altre figure coinvolte nel sistema”, conclude Clemente. “Inoltre finanzia progetti di ricerca scientifica e mette a disposizione per le piccole e medie imprese fondi per la prevenzione. E’ molto interessante notare che le richieste per il finanziamento, pur riguardando a tutt’oggi per la maggior parte l’acquisto di attrezzature, vede un 20% finalizzato all’adozione di modelli organizzativi responsabili e un restante 6% per la formazione. Questi ultimi due dati sembrano far emergere la consapevolezza anche da parte datoriale dell’importanza di una buona organizzazione del lavoro e della consapevolezza dei rischi. Vuol dire che le aziende stanno realmente introiettando la cultura della sicurezza”.