Dieci anni di Legge Obiettivo

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Come e quanto ha funzionato la Legge che avrebbe dovuto ammodernare l’Italia, superare localismi e obiezioni territoriali velocizzando i processi di realizzazione delle infrastrutture strategiche per il Paese? L’elenco delle opere prioritarie è la voce che sembra aver avuto più successo: da 196, infatti, le infrastrutture “necessarie” in dieci anni sono diventate 348, divise tra diverse tipologie ma con quelle trasportistiche a far la parte del leone: erano 129, sono ora 198; i costi, ovviamente, hanno seguito la stessa via aumentando (complessivamente) di oltre il 190%, cosicché ad oggi, con oltre metà delle opere ancora in fase di studio di fattibilità, mancano all’appello 262 miliardi di euro per la realizzazione delle sole infrastrutture di trasporto. E i tempi di realizzazione? L’eccezionale semplificazione delle procedure non ha evidentemente apportato i risultati sperati: solo il 21,1% delle opere è stato realizzato (pari però all’8,6% dei costi complessivi), l’11,1% è in cantiere o in gara (pari al 9,8% della spesa), il 16,9% delle opere ha superato la fase di progettazione definitiva, mentre il 50,9%è ancora fermo alla progettazione preliminare o allo studio di fattibilità.L’unico “successo” riguarda la velocizzazione della Procedura di Valutazione di Impatto Ambientale con 76 opere approvate su un totale di 82 quasi a totale beneficio delle autostrade (97,8% di successi). Peccato che poi la maggior parte delle opere si siano impantanate per mancanza di risorse.

A dieci anni dalla presentazione della 443/201, nota come Legge Obiettivo, Legambiente ha presentato, in un dossier, il bilancio dei risultati con un’analisi puntuale delle trasformazioni e delle modifiche dell’elenco delle priorità, degli aumenti dei costi e dei rischi legati al proliferare dei cantieri aperti senza alcuna certezza di realizzazione.

Al convegno, che si è tenuto a Roma, hanno partecipato, tra gli altri, Alfredo Peri (Assessore trasporti Emilia Romagna e Presidente Federmobilità), Wladimiro Boccali (Sindaco Perugia e Presidente Commissione trasporti ANCI), Luigi Grillo (Presidente commissione Lavori pubblici Senato), Edoardo Zanchini (responsabile trasporti Legambiente), Roberto Della Seta (Commissione Ambiente Senato), Fabio Granata (Vicepresidente Commissione Antimafia Camera dei Deputati), Debora Serracchiani (Commissione trasporti Europarlamento) e Vittorio Cogliati Dezza (Presidente nazionale Legambiente).

In un decennio, grazie all’eccessiva semplificazione delle procedure apportata dalla Legge, nell’elenco delle infrastrutture strategiche sono entrati acquedotti e elettrodotti, reti di telecomunicazione, le dighe del MOSE a Venezia e l’edilizia pubblica (di cui 21 opere di manutenzione di edifici istituzionali, 5 interventi per l’edilizia scolastica, 8 istituti penitenziari e 5 edifici culturali, l’edificio dei carabinieri di Parma). Nel complesso, strade e autostrade rappresentano il 41,3% delle opere (e il 45,1% delle previsioni di spesa), le ferrovie (tra alta velocità, nazionali e urbane) il 14,3% delle opere (e il 33,4% delle previsioni di spesa), le infrastrutture urbane il 21,7 % delle opere e il 12,6 % delle previsioni di spesa.Le opere localizzate al Nord sono 74e rappresentano il 48,5% dei costi totali, al Centrosono 54 e rappresentano il 15,4% dei costi, al Sud sono 60 e rappresentano il 36,1% dei costi totali.
I cambiamenti avvenuti nel contesto economico italiano e internazionale con le con le nuove regole sui bilanci pubblici fissate dall’Unione Europea, richiedono oggi un’attenta verifica dei risultati della Legge Obiettivo e magari un nuovo tipo di ragionamento basato sull’analisi della realtà. E’ difficile, infatti, continuare a pensare che sia possibile recuperare 260 miliardi di Euro nei prossimi anni, quando guardando alla situazione del bilancio pubblico, è evidente che non ci avvicineremo nemmeno a un terzo di questa cifra nei prossimi dieci anni. Possibile poi, che tutte quelle elencate siano opere strategiche pur non riguardando quasi mai le città, dove si concentra l’80% della domanda di trasporto delle persone, si evidenzia il più rilevante ritardo rispetto all’Europa e si vivono i disagi dovuti a traffico e inquinamento? E il Sud? Non era da lì che bisognava partire per recuperare il ritardo infrastrutturale?
“Dall’analisi presentata oggi – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -, emerge il rischio che questo elenco di opere piuttosto che rappresentare la soluzione ai problemi del Paese possa diventare la ragione della sua crisi. Nel 2009 infatti, è stata introdotta anche la possibilità di aprire nuovi cantieri senza necessità di verificarne la reale fattività complessiva (Legge 191 del 23.12.2009), con finanziamenti a pioggia utili ad avviare solo la costruzione di lotti o di parti dell’opera senza nessuna certezza di completamento dell’opera stessa. Ciò si può tradurre in una sorta di ‘tassa sul futuro’ oltretutto per opere in gran parte inutili che non daranno alcun contributo alla soluzione dei problemi del Paese”.
Una prospettiva questa, che va sicuramente nell’interesse dei costruttori, di alcuni concessionari e dei progettisti (i veri grandi beneficiari del meccanismo introdotto con la Legge Obiettivo) perché permette di muovere carte e cemento, ma che non è affatto nell’interesse del Paese.
“Bisogna avviare un ragionamento che tenga conto sia dei cambiamenti avvenuti in questi anni nella domanda di trasporto che delle reali possibilità di intervento – ha dichiarato Edoardo Zanchini, responsabile trasporti Legambiente -. Occorre rimettere al centro gli obiettivi e tornare a parlare di trasporti, in modo da capire quali opere siano veramente strategiche, dando priorità alla mobilità sostenibile (metropolitane, tram, treni pendolari, logistica) nelle aree urbane, perché è qui che si concentra la voce di gran lunga prevalente della domanda di trasporto, e perché questo chiedonoi14 milioni di italiani che, secondo il Censis, ogni giorno per motivi di lavoro e di studio e si muovono in auto, treno o in autobus sovraffollati per raggiungere le aree urbane. Bisogna spostare su ferro e cabotaggio una quota significativa del trasporto merci e rivedere le priorità territoriali sulla base di una seria analisi della congestione, degli incidenti, dell’inquinamento”. Ciò significa dare certezza agli interventi di ammodernamento delle linee urbane, di realizzazione di nuovi binari dedicati al trasporto regionale e metropolitano, di tratte di aggiramento per le merci, di nuove stazioni attrezzate con parcheggi e servizi, di collegamenti dagli aeroporti alle città attraverso nuovi binari. Non è una ricetta ambientalista, ma quanto si sta portando avanti in Francia, Germania, Gran Bretagna; la seconda condizione per rilanciare le opere pubbliche nel nostro Paese sta nel dare certezza alla loro realizzazione. L’anomalia italiana è che si pensa che sia tutto un problema di barriere amministrative, cancellate le quali la realizzazione delle opere diventa semplice. Motivazione smentita ora anche con la Legge Obiettivo alla prova dei fatti. Per risolvere i problemi conviene guardare all’esperienza internazionale, dove vengono considerati decisivi il consenso del territorio, la qualità dei progetti e la loro fattibilità tecnica per non incontrare sorprese in corso d’opera. Per questo è necessario rivedere completamente la procedura di VIA, per tornare a darle credibilitàrispetto agli obiettivi dell’Unione Europea. Del resto, è evidente ormai che occorre ridurre gli impatti sul territorio per evitare ricorsi e conflitti. Altrimenti i problemi spuntano in corso d’opera, si dilatano i tempi e aumentano i costi, mentre i progetti ben studiati possono arrivare ad aumentare la qualità del paesaggio. Il terzo spunto riguarda invece la creazione di un’Authority per il settore dei trasporti che guidi e controlli tutto il sistema nella prospettiva di una progressiva liberalizzazione, a partire dal settore del trasporto ferroviario, agendo come garante nei confronti degli utenti dei servizi di trasporto, nel controllare tariffe e investimenti autostradali.