Testamento biologico e autodeterminazione: un diritto a metà

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Perché se siamo capaci di intendere e di volere abbiamo il diritto di esprimere la nostra volontà su un trattamento medico e se non lo siamo più abbiamo, invece, un diritto a metà? Sia perché il medico non è obbligato a rispettare la nostra volontà, anche se messa per iscritto in una Dichiarazione Anticipata di Trattamento, sia perché sui trattamenti come idratazione e nutrizione artificiale non abbiamo diritto di parola.
A due anni esatti dal dibattito promosso da Cittadinanzattiva sul testamento biologico abbiamo ottenuto un Disegno di Legge contraddittorio, che non piace nemmeno ai sostenitori della vita ad ogni costo. Eppure abbiamo inviato a tutti i parlamentari le nostre richieste , frutto di un dialogo franco ed equilibrato tra cittadini, medici, bioeticisti, società scientifiche e associazioni di pazienti: che il diritto in questa delicata materia fosse “mite”, che la legge si limitasse a fornire principi generali, che riconoscesse agli incapaci di intendere e di volere gli stessi diritti riconosciuti agli altri, che fosse una legge fondata sulla conoscenza e sulle evidenze scientifiche, non meramente ideologica. Che potesse rafforzare le tutele giuridiche e non, invece, ridurre i diritti, anche perché esistono alcuni principi già riconosciuti in diverse fonti normative: la Costituzione italiana, la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Convenzione di Oviedo), ratificata dal Parlamento italiano nel 2001, la Dichiarazione universale di bioetica e dei diritti umani dell’Unesco, Codici Deontologici, documenti di natura etico-giuridica. Nonostante la chiarezza dei principi generali, la realtà è molto complessa e spesso nascono contrasti. Decidono quasi sempre i medici, a volte dopo essersi consultati con i familiari, altre volte da soli, in alcuni casi decidono i giudici. Una buona legge sul testamento biologico dovrebbe lasciare spazio al rispetto della concezione della vita e della dignità umana di tutti: una Dichiarazione Anticipata di Trattamento garantisce sia coloro che temono l’invasione della medicina e delle tecniche mediche, sia coloro che desiderano allungare il più possibile la propria esistenza con tutte le terapie e le tecniche disponibili. Inoltre, come ha sottolineato il Comitato Nazionale per la bioetica, “il testamento biologico renderebbe ancora possibile un rapporto personale tra il medico e il paziente proprio in quelle situazioni estreme in cui non sembra poter sussistere alcun legame tra la solitudine di chi non può esprimersi e la solitudine di chi deve decidere”. Il testamento biologico diventa, dunque, la continuazione del consenso informato, uno strumento di alleanza terapeutica, attraverso il quale si esprime la libertà della persona assistita, che non riduce il diritto del medico di obiezione di coscienza. I medici, da parte loro, sono guidati sotto il profilo etico deontologico da tre principi: il principio di giustizia, che vieta ogni discriminazione nei confronto dei pazienti, il principio di beneficialità, che obbliga il medico a tutelare la salute e la vita nel rispetto della dignità della persona, e il principio della autodeterminazione del paziente, che dà alle persone il diritto di scegliere o non scegliere in modo informato e consapevole se attuare o sospendere i trattamenti diagnostico-terapeutici. Resta il fatto che ad oggi il medico deve tener conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, ma non è obbligato ad attuarle. Questo accadrebbe solo con l’intervento della legge, che peraltro potrebbe dare ai medici dei confini certi del loro operato, ad esempio prevedere che se il medico tiene conto nelle scelte di quanto manifestato dal paziente, non commette reato. In conclusione, il problema vero – come ha sottolineato anche il Presidente della Federazione Nazionale Ordini Medici – resta la forza giuridica da riconoscere alla volontà del paziente, e questa legge non lo risolve.

Francesca Moccia, Coordinatore nazionale Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva