Dal 1990 ad oggi il risparmio complessivo delle famiglie italiane si è ridotto di circa 20 miliardi di euro e se all’inizio del periodo per ogni 100 euro di reddito se ne risparmiavano 23, oggi le famiglie riescono a metterne da parte meno di dieci indicando, quindi, una consistente riduzione della propensione al risparmio, praticamente più che dimezzata nell’arco di un ventennio; nello stesso periodo, con un reddito disponibile stagnante e sostanzialmente invariato dal 1990 al 2010, il risparmio annuo pro capite, in termini reali, si è ridotto di quasi il 60% (circa 4.000 euro nel 1990, 1.700 euro nel 2010); un terzo delle famiglie italiane ritiene l’investimento in immobili la principale forma di utilizzo – soprattutto a fini cautelativi – del surplus monetario: questi i principali risultati che emergono da un’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sui risparmi delle famiglie italiane dal 1990 al 2010. Le decisioni di consumo e di risparmio dipendono da tanti fattori, di natura economica, sociale, demografica, culturale. Certamente il livello del reddito e la sua dinamica hanno un impatto sul livello del risparmio.
E’ sorprendente notare come il livello monetario del risparmio sia oggi inferiore a quello di venti anni fa di circa 20 miliardi di euro. Considerando, inoltre, che il livello dei prezzi – come anche quello delle retribuzioni monetarie – è oggi più elevato del 50% rispetto all’inizio degli anni ’90, si comprende che la quantità di beni e servizi che si possono acquistare con il risparmio del 2010 è meno della metà di quanto si poteva acquistare con il risparmio del 1990. E non è una questione di livello di prezzi.
La contrazione del risparmio dipende da due importanti cause: la prima, ben nota, riguarda la stagnazione del reddito disponibile. Se si dispone di minori risorse si consumerà meno e si risparmierà meno. La seconda riguarda l’età media della popolazione. Nel 2000 l’aspettativa di vita media degli italiani era pari a 40,9 anni per una popolazione di circa 57 milioni di persone. Nel 2007, la vita media attesa era di 41,15 anni, con una crescita di sei decimi di punto rispetto al 2000 e una popolazione di oltre 59 milioni. Tra il 2000 e il 2007 il risparmio effettivamente cresce ma la dimensione demografica non spiega la caduta del risparmio tra il 2009 e il 2010. La ragione di questa contrazione, purtroppo, è tutta dentro la prolungata riduzione del reddito disponibile delle famiglie. Rispetto a dieci o venti anni fa il Paese avrebbe bisogno di maggiore risparmio e invece le condizioni economiche non lo consentono. La gravità della stagnazione dei redditi nel periodo pre-recessione e la profondità della caduta dei redditi durante la recessione del biennio 2008-2009 si vedono meglio, dunque, attraverso la lettura delle statistiche sul risparmio rispetto a quanto emerge dalle valutazioni sulle dinamiche dei consumi.
E’ opportuno ricordare che il risparmio individuale e aggregato dipende da molte altre cause che qui non vengono considerate. La dinamica del reddito resta comunque una determinate fondamentale.
La propensione al risparmio, cioè quanti euro vengono risparmiati mediamente dalla popolazione italiana per 100 euro di reddito disponibile (rapporto tra risparmio e reddito disponibile), è fortemente decrescente e sostanzialmente si dimezza dal 1990 a oggi, passando dal 23% a meno del 10%.
Da una parte questo dato può essere considerato negativamente. Il minore tasso di risparmio necessariamente implica minori investimenti. La riduzione del processo di accumulazione di capitale riduce le prospettive di crescita per il futuro.
D’altra parte, è opportuno sottolineare anche le valenze positive di questo fenomeno. Intanto, le famiglie, come abbiamo più volte sottolineato, hanno palesato grande vitalità e forza di reazione nei confronti della prolungata stagnazione economica. Hanno aumentato la propensione al consumo per non comprimere, per quanto possibile, i consumi, che sono l’indicatore più prossimo a un ideale parametro di benessere materiale. La riduzione dei consumi reali pro capite è stata comunque rilevante, ma molto inferiore a quella subita dal reddito disponibile e, soprattutto, a quella patita dal risparmio. Il secondo aspetto confortante è che esiste ancora un risparmio aggregato positivo, cioè, a parità di altre condizioni, oggi però piuttosto sfavorevoli, lo stock di ricchezza aggregata continua a crescere. Certo, con le riduzioni osservate di recente nei livelli assoluti di risparmio, vi sono dubbi sulla tenuta nel lungo termine di questo sentiero di accumulazione. Nel biennio 2009-2010, infatti, il risparmio si è ridotto a un ritmo di dieci miliardi di euro all’anno.
Come si fa di consueto per i consumi, è opportuno, anche nel caso del risparmio, valutare il suo valore a prezzi costanti, depurando le grandezze dall’effetto della variazione dei prezzi dei beni e servizi oppure, che è sostanzialmente lo stesso, della crescita del valore monetario delle retribuzioni e dei redditi in generale. Inoltre, vale la pena di rapportare questo risparmio a prezzi costanti, con base 2010, alla popolazione che ha contribuito a generarlo.
Come ci si può attendere, data la crescita della popolazione e la riduzione della propensione al risparmio, se i consumi pro capite in termini reali nel 2010 sono tornati ai livelli del 1999, il risparmio reale pro capite risulta inferiore ai livelli dei primi anni novanta, mostrando una riduzione percentuale di quasi il 60%. Infatti, ai prezzi attuali, il risparmio annuale pro capite di un italiano all’inizio degli anni ’90 era di circa 4.000 euro mentre oggi si è ridotto a 1.700 euro.
A risultati analoghi si perviene rapportando le grandezze a prezzi costanti al numero di nuclei familiari piuttosto che alla popolazione.
La valutazione del reddito disponibile, dei consumi e del risparmio per nucleo familiare è in teoria la più corretta perché le decisioni vengono prese in generale sulla base delle esigenze emergenti dalla vita del nucleo, comparando e organizzando le priorità dei singoli componenti. Le valutazioni per famiglia sono, tuttavia, complicate dal fatto che il numero medio dei componenti familiari muta nel tempo. In Italia, la numerosità media dei componenti per famiglia è scesa in venti anni di oltre il 16%, passando da 2,86 componenti per nucleo nel 1990 a 2,41 componenti nel 2010, facendo così aumentare il numero di famiglie più rapidamente della popolazione. Questo effetto deprime ulteriormente le dinamiche delle grandezze economiche a prezzi costanti per nucleo familiare.
E’ interessante notare che buona parte del risparmio annuale finisce investito in abitazioni.. E’ evidente la contrazione che anche in Italia si sta manifestando negli investimenti immobiliari, dopo il boom della prima parte degli anni 2000.
L’ultima rilevazione dell’indagine Censis-Confcommercio sul Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane evidenzia che sul finire dell’anno scorso e in questa prima parte del 2011 gli orientamenti di risparmio delle famiglie italiane presentano una dicotomizzazione piuttosto marcata: o investimenti immobiliari o liquidità, senza significative alternative.
In un certo senso, ciò è il riflesso di una condizione di incertezza che sta rientrando soltanto molto lentamente, come testimoniano le risposte più frequenti: il 31,7% indirizzerebbe i risparmi in immobili e il 29,5% preferirebbe la liquidità sul conto corrente). Quest’allocazione del risparmio, governata da scopi cautelativi, cioè difensivi, più che da una strategia attiva di trasferimento temporale di potere d’acquisto, non è esente da rischi. La potenziale recrudescenza inflazionistica per il 2011, trainata dai rialzi dei corsi delle materie prime energetiche e non energetiche, potrebbe ridurre il valore reale del risparmio accumulato, cioè della ricchezza detenuta in forma liquida. Essa, normalmente, frutta modesti rendimenti, che difficilmente coprono la perdita di potere d’acquisto dovuta all’aumento generalizzato dei prezzi (previsto al 2,7% per l’anno in corso).
Seppure in uno scenario contraddistinto da difficoltà economiche prevalenti sulle aspettative positive, anche dai dati dell’indagine emerge comunque il superamento della fase recessiva. Nella seconda parte del 2010, infatti, si riduce di dieci punti percentuali (al 40,7%, dal 50,7% della prima parte dell’anno) il numero di rispondenti che dichiara di avere diminuito il proprio risparmio-ricchezza.