L’Italia in Presa Diretta, l’intervista a Riccardo Iacona

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Una sala gremita di gente. Penne, taccuini e registratori pronti. Un libro in mano in attesa di essere autografato. Siamo alla biblioteca Albino di Campobasso e l’ospite atteso è un giornalista dall’aria cortese ma dal tratto della voce deciso. È Riccardo Iacona, conduttore e autore di Presa Diretta su Rai Tre, venuto a presentare il suo libro “L’Italia in Presa Diretta”. Ci racconta di un Paese abbandonato dalla politica. Ci racconta di una democrazia che stenta ad esprimersi. Ci racconta di quello che ha visto girando e bussando alle porte delle persone e che raramente viene riportato da giornali e tv. Il suo è un giornalismo d’inchiesta, quella vera. Quella che si realizza con mesi di lavoro e ricerche, borse piene di immagini e storie registrate e da montare, e ore infinte di trasmissione. Nonostante ciò, Iacona ha sentito l’esigenza di mettere tutto nero su bianco. Alzare lo sguardo, come si dice, per prendere le distanze e capire ancora, trovare una visione d’insieme.

Nel 2009 lei ha anticipato i tempi parlando della politica dei respingimenti attuata dal nostro Governo. Ora siamo arrivati ad una situazione di emergenza con profughi e clandestini provenienti da Libia e Tunisia che si cerca di ricollocare sul territorio nazionale. Come valuta il lavoro del Governo in materia di immigrazione?

“La politica non sta facendo quello che dovrebbe fare. Ha pensato semplicemente che con i provvedimenti di respingimenti si poteva chiudere un continente intero. Naturalmente questo non è possibile. Ha puntato sul mantenimento dei rapporti privilegiati con dei dittatori in cambio del fatto che questi non facessero partire le persone dalle coste. E anche questo è saltato, oltre ad essere eticamente inaccettabile perché noi abbiamo finanziato le stesse dittature che oggi combattiamo. Quindi non è attrezzata ad affrontare questa questione in termini medio lunghi. Lei ha parlato di emergenza, ma è grave parlare di emergenza perché non sono cose che non conoscevamo. Noi siamo nello stesso tempo gli attori e le vittime delle politiche che facciamo nei confronti del Mediterraneo. Non li abbiamo aiutati negli ultimi 10 anni a costruire una nuova classe dirigente e a creare opportunità di lavoro e ora ne paghiamo le conseguenze”.

Un’indagine de Il Sole24Ore ha evidenziato che le prossime elezioni influenzeranno la disponibilità ad accogliere i migranti ora a Lampedusa, soprattutto in quelle zone in cui la Lega ha maggiore potere. Tutto questo impedirà l’integrazione sociale necessaria per aprire le porte del nostro Paese al Mediterraneo?

“La politica ha giocato a fare consensi spaventando la gente e raccontando la questione dell’immigrazione solo col taglio militare, del pericolo, del respingimento. Chiaramente ora ha problemi a gestire, con il proprio elettorato, la sistemazione di 30 mila persone, perché per tre anni hanno detto che questo era il pericolo più grave che ci potesse succedere. Anche questa è una forte limitazione di un paese di operare e questo la dice un po’ lunga su quello che saremo come Italia. A livello italiano 30 mila persone non sono niente da ridistribuire nelle regioni. Se le vuoi mettere tutte in un’isola avrai problemi di gestione”.

Parliamo di nucleare. Il Governo ci assicura che le centrali non saranno costruite in zone sismiche. Mentre il Giappone, tecnologicamente più preparato di noi, sta contando i danni e ha scelto di chiudere le centrali, noi facciamo ancora i conti con il terremoto dell’Aquila. Ma siamo pronti ad sostenere una scelta così importante?

“Per come la vedo io non dovremmo nemmeno iniziare il nucleare che è una tecnologia che costa moltissimo per la gestione, le scorie e la chiusura. Inoltre, ci dà risultati dopo tanti anni. Non abbiamo ancora un sito, abbiamo un paese che è tutto sismico o a rischio alluvioni e stiamo facendo felici un gruppo francese che non riusciva a vendere queste centrali in nessun’altra parte del mondo. Dopo Fukushima, tutto il mondo sta ripensando al nucleare. Per chi non lo ha mai avuto cominciare è davvero demenziale”.

Legato al tema del nucleare c’è quello delle rinnovabili. Col nuovo Decreto non si fa un passo indietro?

“Questo è preoccupante. Infatti i paesi che puntano sull’energia rinnovabile non mettono limiti. Qui bisogna fare un po’ come i tedeschi che hanno detto: «Fino a quando l’energia copre il fabbisogno energetico aumenteremo la rinnovabile». A maggior ragione dopo Fukushima. La Germania è un paese che ha più bisogno di più energia rispetto l’Italia perché fortemente industrializzata. Siamo parlando di una grande potenza industriale che vive nel freddo nord Europa e che utilizza tutte le risorse a disposizione per produrre energia pulita. Una volta scelte le rinnovabili allora bisogna puntarci. Non si può dire, dopo, no, non mi piace il pannello fotovoltaico perché è brutto”.

Passando al tema della giustizia, il procuratore antimafia Pietro Grasso ha sollevato alcune questioni sulla riforma, ovvero, meno burocrazia e intercettazioni che, se realizzate nel rispetto di privacy, segreto istruttorio e diritto d’informazione, non darebbero problemi. Lei cosa pensa?

“Nel libro vi dedico un paio di capitoli proprio per raccontare dal basso come funziona la giustizia e quali sono secondo tutti, non solo dei faziosi, le azioni che vanno fatte per rendere più veloce la risposta della giustizia e per avere sentenze certe in tempi giusti. Siccome, dovunque si trovino, queste nuove tecniche funzionano, allora bisogno applicarle. Non si risolve il problema della lentezza della giustizia attaccando le investigazioni. C’è un tentativo di diminuire la capacità di investigazione della magistratura. Sono interventi punitivi che secondo me non interessano ad un Paese che ha tre grandi criminalità organizzate”.

Lei nel libro parla di una mancanza di dibattito e di una politica che ha abbandonato il suo Paese. Ma quale sarà il nostro futuro?

“La politica vive di questa mancanza di dibattito e può sopravvivere, nonostante la sua proposta sia vuota di contenuti, grazie al fatto che ha davanti una opinione pubblica meno informata e meno alfabetizzata che non ha gli strumenti per proporre soluzioni diverse. Invece io penso che è sul terreno della democrazia che noi possiamo trovare risposte per il futuro. Questa politica non ha bisogno di un paese fortemente democratico e partecipativo. Io la considero una cattiva politica perché tutta incentrata sul presente”.

Carmela Mariano