Studi di settore: illegittimi senza ‘la grave incongruenza’

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Gli accertamenti basati sugli studi di settore richiedono necessariamente la presenza di una grave incongruenza tra i ricavi o i compensi dichiarati dal contribuente e quelli desumibili dagli studi di settore e una differenza pari al 17% non può ritenersi così grave.
Ciò è quanto emerge da una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sentenza della CTP di Lecce n.47/02/11 liberamente visibile su www.studiolegalesances.it – Sez. Documenti), la quale sostanzialmente ribadisce la posizione espressa da una precedente pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva individuato una percentuale minima di distacco dai valori dichiarati di almeno il 25-30% per far sì che si configuri una “grave incongruenza” (sentenza della CTP di Milano n.60 del 13/04/2005).

I Giudici di Lecce, inoltre, nella medesima pronuncia dichiarano di aderire alla sentenza n.18983 del 7/06/2007 Corte di Cassazione secondo la quale “… in tema di accertamento delle imposte sui redditi, deve essere escluso ogni automatismo e che eventuali strumenti presuntivi, quali gli studi di settore, per essere validamente applicati, necessitano di una particolare flessibilità e adattabilità alle comprovate peculiarità dell’attività svolta dal contribuente, in ossequio al principio costituzionale sancito dall’art. 53”.
Infine, sempre i Giudici di Lecce rilevano che “… particolare rilievo deve essere dato alle caratteristiche dell’area territoriale in cui opera l’azienda”.
L’Amministrazione finanziaria, dunque, è chiamata all’importantissimo compito di valutare serenamente tutti quegli elementi (che devono essere evidenziati dal contribuente) che hanno comportato un distacco significativo rispetto ai risultati degli studi di settore, al fine di evitare l’applicazione di un accertamento fiscale privo di legame con la realtà del contribuente.

Avv. Matteo Sances

Studio Legale Tributario Sances
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