Analisi del bilancio Unicredit 2010/prima parte

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Perché le banche italiane, in specie quelle più grandi, non sembrano godere di buona salute? Le loro quotazioni azionarie, infatti, sono ai minimi (vedi Unicredit e san Paolo) la loro percezione agli occhi dei consumatori, degli utenti e dei semplici cittadini è alquanto appannata. Certo sono in buona compagnia, specie considerando che le banche, in tutto il mondo sono considerate le reali artefici della gravissima crisi finanziaria ed economica in cui l’economia planetaria è stata precipitata a partire dal 2008. Ma quelle italiane sembrano immuni, almeno nella maggioranza dei casi, dagli eccessi finanziari e di strumenti esotici che hanno colpito le altre istituzioni finanziarie (Lehman Brothers l’esempio su tutti).

Per cercare di capire un po’meglio la questione bisogna entrare più nello specifico, non limitandosi alle informazioni chiamiamole così di seconda mano, quali lanci di agenzia, titoli sui giornali, dichiarazioni di questo o di quello. E per entrare più nello specifico non c’è cosa migliore che cominciare ad analizzare i bilanci di queste istituzioni finanziarie e capire, come già abbiamo fatto con il bilancio statale della Grecia, con la vera forza dei numeri la reale situazione contabile ed economica della banca. Partiamo oggi dal campione nazionale e internazionale nel settore creditizio italiano, Unicredit.

Delle sue vicissitudini manageriali (l’estromissione di Profumo, la presenza dei libici oggi congelata) ci siamo a lungo occupati, così come ci siamo occupati del titolo quotato alla Borsa di Milano che dalle stelle di quasi 8 euro nel 2007 è oggi precipitato alle stalle di una quotazione di circa 1,5 euro. Ma i numeri, per quanto importanti e complessi (parliamo di un gruppo con oltre 9.000 sportelli e una forza lavoro di ben 160.000 unità) sono forse la strada migliore per dare qualche risposta ai nostri interrogativi.

Partiamo dal bilancio del 2010, un anno, dice il nuovo capoazienda Federico Ghizzoni, di grande rinnovamento per il gruppo e di risultati che hanno rafforzato comunque l’azienda. La struttura organizzativa è stata profondamente rivista con il lancio del progetto “Insieme per i clienti” e il consolidamento di sette banche all’interno del gruppo. Inoltre viene nominato un country manager per ogni paese in cui opera Unicredit (italia inclusa) che sarà responsabile delle strategie e dei risultati della realtà affidatagli.

Fin qui Ghizzoni nella sua lettera introduttiva al documento contabile. Vediamo un po’ di cifre. Partiamo dal margine d’intermediazione, cioè in buona sostanza l’equivalente per un gruppo bancario dei ricavi o del fatturato di qualsiasi altra azienda. Esso è ammontato, nel 2010 a 26.347 milioni di euro. Di questi 16,4 miliardi di euro provengono dalla voce più classica nel conto economico di una banca, ossia il tasso di interesse percepito dai clienti ai quali si sono prestati dei soldi. Esso risulta in calo di oltre un miliardo di euro rispetto al 2009, benché l’andamento dei tassi storicamente molto basso non abbia subito particolari flessioni nei due anni. Evidentemente la banca ha ridotto i prestiti alla clientela, che infatti passano da 564 miliardi del 2009 ai 555 miliardi del 2010. Ma probabilmente sul ridotto incasso di interessi ha influito un altro dato di grande rilievo: l’aumento del 20% dei crediti deteriorati incrementati di quasi 7 miliardi di euro da un anno all’altro. Il ritorno medio dei prestiti e dei finanziamenti effettuati si situa poco sopra il 3% (16,4 miliardi su 555 di finanziamenti complessivi) una percentuale non entusiasmante, anche se contemperata dalla considerazione già effettuata di tassi storicamente molto bassi rispetto alla media.

La flessione nei prestiti riguarda sia i privati che le famiglie (mercato retail meno 800 milioni di euro di affidamenti) che i prestiti alle aziende (corporate meno 570 milioni di euro di affidamenti). Un altro dato a questo proposito si segnala: il mercato delle famiglie e dei privati costa molto di più alla banca rispetto al corporate/aziendale. I costi operativi del retail infatti sono 7,4 miliardi di euro con un margine di 2,58 miliardi di euro. Gli affidamenti retail sono 10 miliardi di euro. Gli affidamenti alle aziende sono invece 10,2 miliardi di euro ma scontano costi operativi di soli 3,5 miliardi di euro con un margine di ben 6,7 miliardi di euro.Non solo. Il personale impegnato sulla clientela retail, essenzialmente le filiali bancarie è di gran lunga superiore a quello impiegato nel settore delle imprese: 62.000 dipendenti a fronte dei 16.000 del corporate.

Va verificato però se tale imputazione sia del tutto logica: il personale delle filiali offre anche un servizio di supporto(sportellistica, informazioni, back office e lavorazione dei conti, solo per dirne qualcuna) anche alla clientela corporate e quindi il ribaltamento dei costi tra le due attività probabilmente va analizzato con maggiore profondità. Il punto è che le aziende scontano rischi assai più elevati delle famiglie e dei privati, stante anche la diversa quantità di fabbisogno di prestiti e di finanziamenti di cui le due realtà hanno bisogno.

In pratica il cliente azienda fa guadagnare molto di più ma espone a rischi destramente maggiori, sia per la natura meno prevedibile della sua attività sia per la quantità ben maggiore di danaro che il soggetto azienda (specie di medie o grandi dimensioni) chiede all’istituto di credito. A salvare i conti dell’attività tipica della banche sono le commissioni, cioè tutte le voci accessorie percepite dalla banca (dalle spese di tenuta conto alle commissioni per i bonifici alle spese rinnovo fido sino al rimborso delle spese postali a prezzi maggiorati) che nel 2010 hanno portato ricavi per 8,45 miliardi di euro in crescita di quasi 800 milioni di euro rispetto al 2009. I servizi di intermediazione e consulenza, tra cui la negoziazione di titoli per conto terzi ha portato nelle casse del gruppo 4,52 miliardi di euro con un incremento di circa 400 milioni sul 2009. La voce relativa alla tenuta dei conti correnti ad esempio ha generato ricavi per 1,62 miliardi di euro con un incremento di oltre 100 milioni sul 2009. In pratica e volendo riassumere la banca ha prestato nel 2010 meno danaro, ha subito perdite sui crediti erogati in modo crescente ma si è fatto pagare in modo più salato i propri servizi.

A questo punto passiamo a considerare un altro aspetto. Per prestare i 555 miliardi di euro ai propri clienti Unicredit deve a sua volta raccogliere tali somme dalla clientela o da altre istituzioni finanziarie, incluse altre banche. I soldi che la clientela o altre istituzioni finanziarie forniscono alla banca sono la cosiddetta raccolta che ovviamente ha un costo. Se investo, infatti, in un’obbligazione o tengo i soldi sul conto corrente la banca mi corrisponde un certo tasso di interesse. Ebbene tale attività di raccolta nel 2010 è costata 12,8 miliardi di euro, in calo vertiginoso rispetto al 2009 quanto il costo della raccolta fu 17,5 miliardi di euro. Diminuisce moltissimo quanto riconosciuto alla clientela: dai 5,7 miliardi di euro del 2009 si passa ai 4 del 2010. Ma non è diminuita la raccolta presso la clientela,a zni è incrementata di circa 20 miliardi di euro, passando dai 381 miliardi del 2009 ai 402 miliardi del 2010. In pratica la clientela è stata pagata molto meno, con un’opera massiccia di riduzione della remunerazione riconosciuta a coloro che hanno depositato danaro presso la banca. (1/continua)

di Pietro Colagiovanni