LA SPENDING REVIEW E I CONTI CHE NON TORNANO

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In questi giorni di dibattito sulla spending review ci sono alcuni conti che, come organizzazione di cittadini, non ci tornano. In questi anni ci siamo battuti in molte occasioni per “rivedere la spesa pubblica”, sia la quantità che la sua qualità: abbattere gli sprechi, ridare risorse per lo sviluppo del paese, azzerare i privilegi. Insomma fare quello che in un paese normale si farebbe ordinariamente e che, a maggior ragione, va fatto in un momento di crisi.
Quando Bondi è stato nominato commissario alla spending review abbiamo contrastato chi faceva battute sul tecnico nominato dai tecnici: Enrico Bondi non solo ha fama di essere una persona serie, ma lo è. Quello che ha fatto in Montedison e Parmalat lo testimonia, salvando aziende distrutte da cattiva gestione e malaffare e ridando alle stesse una prospettiva di sviluppo.
Vedendo però le scelte della spending review di questi giorni, se non mancano alcune luci e va riconosciuto che in una serie di settori si è inciso a ragion veduta, ci sono anche molte ombre, scelte non fatte e soprattutto scelte per noi sbagliate.
Le scelte non fatte riguardano l’enorme apparato cresciuto negli ultimi venti anni come un mostro divoratore di risorse e rappresentato da decine di migliaia di aziende comunali, consorzi, finanziarie regionali, aziende di presunto sviluppo territoriale, che sono nate collateralmente alle autonomie locali e che hanno moltiplicato poltrone e funzioni, creando poteri e contropoteri e divenendo una forma di corruzione, spreco di risorse pubbliche e pessima gestione.
Sono state e sono una delle modalità per “aiutare” amici ed amici degli amici, politici trombati e portaborse e sono molto spesso, per la forma giuridica scelta, fuori da ogni controllo anche di quello della Corte dei Conti.
Sono state e sono una vera e propria palla al piede del nostro paese e non c’è una sola ragione per cui, con un intervento “chirurgico”, non debbano essere ridotte o, in molti casi, semplicemente azzerate.
Su questo si poteva intervenire e credo, e lo sosterremo nel corso dell’iter parlamentare della norma, si può e si deve farlo subito.
Ci sono poi delle scelte su cui nettamente non concordiamo e sono quelle che riguardano la sanità. E non perché bisogna difendere privilegi e buchi ma esattamente per il motivo contrario, perché non si interviene sugli sprechi ma solo sui diritti.
In questi anni il Servizio sanitario nazionale e le spese che lo riguardano sono state viste come una specie di bancomat: quando era necessario si interveniva tagliando, magari sempre sulle stesse cose, perché è più semplice, dà risultati immediati, misurabili. E in questo caso si è utilizzato semplicemente lo stesso criterio, tagliare senza un disegno e un progetto per il futuro: ed è questo l’elemento di maggiore preoccupazione e contrarietà.
Per fugare ogni dubbio, siamo contro la logica dei piccoli ospedali tuttofare, ma avere un disegno vuol dire riconvertire le piccole strutture in poliambulatori, centri di riabilitazione, RSA, centri di assistenza primaria. Insomma insistere su quella integrazione ospedale-territorio che evita di ingolfare le grandi strutture con ricoveri impropri e costosi, che valorizza il day hospital e tutto quello che ci siamo in tanti anni detto.
Spending review “con un disegno” vuol dire in questo caso non chiudere i piccoli ospedali e ridurre i posti letto “a prescindere”, ma specializzarli in funzioni diverse lasciando dei presidi territoriali con nuove vocazioni, intervenendo ad esempio per tagliare le “chirurgie fotocopia” o la moltiplicazioni di laboratori che, spesso, nelle grandi strutture ospedaliere, esistono esattamente ad uso e consumo di micro caste createsi e consolidatesi negli anni.
Spending review vuol dire tagliare risorse al direttore generale della Asl che, ed è accaduto recentemente, nel Lazio decide di aprire una Unità Operativa Semplice di Medicina cinese.
Spending review vuol dire anche chiedere conto del fatto che in una grande azienda ospedaliera della capitale 270 infermieri sono esentati dal servizio in corsia perché sono allergici al lattice. E in questo ambito anche il sindacato dovrebbe interrogarsi, perché contro situazioni come queste, di evidente “imboscamento” e di spreco insostenibile, i primi che si dovrebbero battere sono proprio i leader sindacali.
Siamo contro questa spending review in sanità perché, nonostante gli sforzi per limitare i danni da parte del Ministro Balduzzi, si tratta sostanzialmente di un taglio lineare che non fa nessun tipo di differenza tra le regioni che hanno gestito le risorse sanitarie al meglio, garantendo ai propri cittadini servizi di qualità seppure in una fase difficile, e chi ha fatto buchi su buchi aspettando che qualcuno prima o poi li coprisse.
È questo che ci preoccupa di più: perché collegato alla logica del taglio lineare c’è l’idea che, tutto sommato, “il sistema salute pubblico” è solo una spesa, una costo che “non ci possiamo permettere” e non invece un volano di crescita e di coesione sociale, un investimento di lungo termine sul futuro del paese.
Questa deriva è avvalorata dalle dichiarazioni del Ministro Giarda, uno dei ministri più attivi sulla spending review, che recentemente in Parlamento ha detto che “in questi anni non si è potuto investire nella scuola perché si è investito troppo in sanità”, affermazioni francamente irricevibili ma che credo siano collegate al retropensiero che prima citavo.
Non possiamo assistere al fatto che vengano aumentati i costi a carico dei cittadini e tagliati i servizi a maggior ragione se questo accade senza una “idea di futuro” per il Servizio sanitario nazionale. Non possiamo ammettere che venga “certificato” che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B sulla base della propria residenza.
Il presidente Monti ha parlato della concertazione che ha fatto danni al paese e, senza dubbio, quando la logica è quella del compromesso, spesso al ribasso, il suo pensiero non è distante dal vero. Ma un paese serio non può pensare di picconare un Servizio sanitario che è un capitale di tutti noi: deve rilanciarlo e se necessario riformarlo chiedendo a tutti gli attori di partecipare in prima persona a questi cambiamenti, assumendosi ognuno le proprie responsabilità.
Una leadership di un paese serio propone un progetto per il futuro, analizzando anche oltre 10 anni di federalismo sanitario, vedendo i risultati prodotti e le cose su cui intervenire.
Noi ci batteremo perché questo progetto di futuro ci sia e abbia al centro i cittadini.

Antonio Gaudioso, Segretario Generale di Cittadinanzattiva