DATAGIOVANI ha esaminato le caratteristiche prevalenti dei giovani al primo impiego (e per cui il lavoro attuale sia stato iniziato da non più di 12 mesi) nel 1° semestre 2012, elaborando i microdati Istat della Rilevazione continua sulle Forze di Lavoro e confrontandoli con l’ultimo periodo pre-crisi (1° semestre 2007).
Il primo dato eclatante che emerge nel confrontare le caratteristiche dei giovani al primo impiego tra il precrisi ed il 2012 è la diminuzione della loro consistenza in termini assoluti: nel 1° semestre 2012 se ne contavano infatti 355 mila, 80 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2007, una flessione quasi del 20%. È ancora una volta il Mezzogiorno a pagare il prezzo più alto della situazione di crisi, con oltre la metà del “taglio” dei neoassunti (-24%), mentre nelle regioni settentrionali la contrazione è stata meno ampia (-12%) e continuano a creare la maggior parte dei nuovi posti di lavoro (44%).
Cresce il livello di istruzione dei giovani, e con esso la domanda di professionalità più specializzate: il risultato è che il grosso della diminuzione dei neoassunti ha riguardato giovani con basso livello di istruzione(-46%). Nel 2007, quasi 3 giovani al primo impiego su 10 si erano fermati al massimo alla scuola media inferiore, ed il 53% al diploma o alla qualifica professionale; nel 2012 la quota dei giovani con titolo di studio di basso livello scende al 19%, e contemporaneamente salgono il livello medio (59%) e la laurea (22%).
Oltre a diminuire il numero di neoassunti, sembra anche peggiorare la “qualità” contrattuale, in termini di stabilità lavorativa: infatti, nel 2012 sono ben 222 mila i giovani al primo impiego precari, 7 mila in più del 2007. Rappresentano il 62% dei neoassunti complessivi, mentre nel 2007 erano sotto il 50%. I motivi di questa impennata sono da attribuire al forte aumento dell’incidenza dei contratti da dipendente a tempo determinato e della corrispondente riduzione del tempo indeterminato. Se nel 2007 il 33% dei neoassunti aveva un contratto indeterminato, nel 2012 si è scesi al 26% (92 mila giovani) mentre i contratti a termine sono passati dal 46% al 55% (196 mila neoassunti). L’utilizzo del contratto a termine è sempre più una strategia aziendale determinata dalla tipologia dei lavori attualmente disponibili piuttosto che determinato dalla volontà di testare le capacità del lavoratore o formarne competenze specifiche. Se nel 1° semestre 2007 quasi 6 “primi contratti” su 10 erano per formare il lavoratore (43%) o verificarne le capacità (14%), nel 2012 la formazione si è ridotta al 26% (con una diminuzione in termini assoluti di 37 mila giovani), mentre l’incidenza dei contratti a scadenza è più che raddoppiata (32%, +32 mila contratti). Si verifica infatti una diminuzione nei 6 anni in esame dell’incidenza dell’apprendistato come primo contratto, passata dal 27% al 22% (11 mila neoassunti in meno) e la crescita dei contratti individuali a termine. Inoltre, la durata media dei contratti a termine si è progressivamente ridotta: escludendo gli apprendisti, è scesa nel 2012 a circa 10 mesi e mezzo (4 in meno del 2007): oggi meno di un neoassunto a termine su quattro ha un contratto oltre 12 mesi.
Dei 355 mila giovani che hanno trovato il primo impiego nella prima metà dell’anno, quasi 6 su 10 sono stati assorbiti da attività dei servizi, in particolar modo nelle professioni commerciali (112 mila giovani), le uniche che mantengono inalterata la capacità di creare occupazione ma con l’altra faccia della medaglia più negativa: si tratta infatti dell’area che più di altre utilizza contratti a termine ed in cui è più significativa la stagionalità del lavoro. Malissimo, invece, i settori dell’industria e delle costruzioni.
Giovani “choosy”? Sembrerebbe di no, visto che sta crescendo tra i laureati il fenomeno dell’overeducation, cioè vanno a ricoprire mansioni che tendenzialmente potrebbero essere occupate anche senza laurea. Quasi un laureato su tre neoassunto rientrava nel 1° semestre 2012 in questa categoria, contro il 27% del 2007; il fenomeno è certamente di vecchia data e determinato dal fatto che molti giovani scelgono percorsi di laurea poco spendibili sul mercato del lavoro, ma la forte crescita registrata nel periodo di crisi testimonia il fatto che anche i laureati, non solo al primo impiego, si adattano a lavori meno qualificati rispetto a ciò che hanno studiato. Sembra poi che i giovani non siano così poco volenterosi nel lavorare come spesso vengono dipinti: è consistente infatti, ed in crescita, la quota di giovani neoassunti che lavorano in periodi cosiddetti “disagiati” o “asociali”. In particolare, la metà lavora anche al sabato (una incidenza sul totale degli Under 30 al primo impiego aumentata di 5 punti rispetto al 2007) e quasi uno su quattro la domenica (in questo caso si è verificato anche un aumento in termini assoluti, 4 mila giovani in più). Salgono, anche se un po’ meno, le proporzioni di ragazzi impegnati la sera (22%) o la notte (11%).
E le retribuzioni medie non sono poi così elevate da far supporre che il motivo della flessione di nuove assunzioni sia determinato dal fatto che i giovani non reputino sufficientemente remunerativi le occupazioni disponibili: un Under 30 neoassunto alle dipendenze guadagna mediamente 850 euro al mese. Si tratta di somme inferiori di circa 180 euro rispetto alla media retributiva degli Under 30 occupati nel complesso.