I DATI DELL’ANAGRAFE TRIBUTARIA NON SONO PROVE

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Non costituiscono prova certa i dati dell’anagrafe tributaria esibiti dall’Agenzia delle Entrate.

Ciò è quanto sancito dalla Suprema Corte che, con ordinanza n.23.003 del 13 dicembre 2012, ha riformato la precedente sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, la quale aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate ritenendo provata la duplicazione del rimborso sulla base delle sole risultanze dell’anagrafe tributaria (in pratica l’ufficio riteneva di aver erroneamente erogato due volte il rimborso Irpef e a sostegno di ciò esibiva dei dati dell’anagrafe tributaria).

La Corte di Cassazione, dunque, a seguito del ricorso proposto dal contribuente, ha sancito che la pronuncia dei giudici lucani “non illustrava in maniera sufficiente il percorso argomentativo seguito nella formulazione del suo convincimento e ciò a prescindere dalla eventuale effettiva duplicazione di rimborso dell’imposta” (ord. Cass. 23.003 del 13/12/2012).

D’altronde, come sottolineato dal contribuente, la prova della duplicazione del rimborso doveva essere d ata dall’Agenzia delle Entrate solamente attraverso l’esibizione delle ricevute di pagamento e non attraverso dei documenti interni, come quelli dell’anagrafe tributaria.

In assenza di adeguata motivazione da parte dei giudici della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, la Suprema Corte non ha potuto far altro che accogliere le richieste del contribuente.

Tali conclusioni, pertanto, devono far riflettere in merito al valore probatorio della documentazione utilizzata dal fisco e, in particolare, trovano applicazione anche nella fase della riscossione.

In merito, risulta opportuno citare un recente decreto del Tribunale di Taranto, sezione fallimentare, nel quale viene esaminato il valore probatorio degli estratti di ruolo prodotti dal concessionario della riscossione al posto delle cartelle esattoriali.

Ebbene, in tale occasione i giudici evidenziano l’impossibilità per gli estratti di costituire prova della esistenza delle cartelle di pagamento poiché “le riproduzioni prodotte: a) non contengono tutte le indicazioni obbligatoriamente prescritte dall’art. 25 del dpr 602/73 e dal DM 28/06/99, b) non sono rilasciate da pubblico ufficiale debitamente autorizzato, non essendo dato rinvenire nella legislazione vigente alcuna norma che attribuisca al con cessionario il potere di formare delle riproduzioni parziali delle cartelle di pagamento, certificandone la conformità all’originale, sì che possa far fede come questo, c) non sono rilasciate nelle forme prescritte dall’art. 18 del Dpr 445/2000” (decreto del Tribunale di Taranto, sezione fallimentare, del 19/01/2011, liberamente visibile su www.studiolegalesances.it – sezione Documenti).

Infine, sempre i giudici di Taranto, dopo aver spiegato i motivi dell’impossibilità degli estratti di ruolo a costituire prova certa del debito tributario, si spingono oltre, valutando la documentazione prodotta e dichiarando che “in quanto provenienti dallo stesso soggetto che agisce in giudizio (in quel caso Equitalia) non possono costituire prova a suo favore ma hanno lo stesso valore delle allegazioni di parte contenute nella domanda”.

Ci si augura, quindi, che nell’ambito del confronto tra il fisco e il contribuente quest’ultimo riesca a comprendere le contestazioni che gli vengono effettuate e valutare attentamente il peso della documentazione a supporto di esse.

Avv. Matteo Sances

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