Distretti: il 52% del fatturato 2012 proviene dall’export

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Nonostante il rallentamento della domanda internazionale, l’export rappresenta ancora oltre la metà del fatturato delle imprese dei distretti: a questi “campioni dell’Italian Style” fa riferimento ancora oggi più di un quarto delle vendite estere di tutto il sistema Paese. Malgrado le difficoltà, infatti, queste realtà produttive portano a casa un risultato complessivamente positivo nel 2012, e per il 2013 il 37,4% delle imprese appartenenti alle filiere distrettuali si attende un andamento crescente delle esportazioni. Alla tenuta dell’export si accompagna tuttavia una domanda interna ancora in forte contrazione, che porta a un calo stimato del fatturato complessivo a chiusura del 2012 pari a -2,8%, solo in parte bilanciato dalla debole ripresa prevista nel 2013 (+1,1%). Il quadro delineato dal IV Rapporto sui distretti italiani, frutto del lavoro congiunto di Unioncamere, Federazione dei distretti italiani, Intesa Sanpaolo, Banca d’Italia, Censis, Cna, Confartigianato, Confindustria, Fondazione Edison, Fondazione Symbola e Istat evidenzia tuttavia i rischi di un pericoloso cortocircuito del modello distrettuale, dal momento che la crescita delle esportazioni e l’intensificazione dei processi di internazionalizzazione sembrano produrre ricadute ancora limitate sia sul territorio, sia sulle filiere di appartenenza. Quattro le strategie da mettere in campo per risolvere le criticità: investire in competenze e managerialità; allungare le filiere e rafforzare il raccordo con l’offerta di terziario innovativo; riposizionarsi sui mercati esteri; ridefinire il rapporto con le banche.

“Allungare le filiere, conquistare nuovi mercati lontani, reinventarsi ogni giorno con intelligenza e flessibilità fa parte del DNA dei Distretti Italiani. Dove, da soli, non si può fare nulla è sul credit crunch e soprattutto nel difficile rapporto con le banche. Ci si deve con forza aggregare affinché venga risolto questo grave problema che ha già messo in ginocchio la manifattura italiana”, evidenzia Valter Taranzano, Presidente della Federazione dei Distretti Italiani.

“Lo scenario di crisi che si protrae ormai da tempo – sottolinea il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – impone alle imprese distrettuali un nuovo salto di qualità, con l’innesto di nuove competenze che uniscano a quel ‘saper fare’ specifico ereditato da secoli e ‘figlio’ dei territori, un plus di conoscenze di processi, di prodotti e di mercati. Questa strategia passa necessariamente attraverso il capitale umano, favorendo gli investimenti in percorsi formativi più adatti alle esigenze delle imprese”.

Fatturato 2012 in caduta del 2,8%. Caute le previsioni sul 2013
Stagnazione della domanda interna e rallentamento del commercio mondiale accentuano il ciclo recessivo dei 101 agglomerati produttivi esaminati dall’Osservatorio dei distretti italiani. In essi, a fine 2011, operavano 274.055 imprese (4,5% del totale nazionale), di cui 173.844 di natura manifatturiera, pari al 28,1% del totale dell’economia manifatturiera italiana. L’insieme delle imprese operanti nelle filiere distrettuali ha realizzato nel 2011 il 6,9% (74 miliardi di euro) del valore aggiunto di tutta l’economia del Paese (il 26,3% facendo riferimento al solo manifatturiero) e il 25,6% dell’export totale (96,3 miliardi di euro).
Le stime relative al consuntivo del fatturato per il 2012 fanno temere un suo ridimensionamento, assolutamente non apprezzabile nel 2011, quando le imprese distrettuali avevano invece registrato una crescita del 5,5%. Cala di oltre 14 punti percentuali la quota di aziende dei distretti che ha segnalato un incremento del fatturato nel 2012 rispetto all’anno precedente (25,7% contro 39,9% nel 2011) e raggiunge il 51% (quasi raddoppiando rispetto all’anno precedente) la percentuale di imprese che segnala una riduzione di questo indicatore. Timori di un consuntivo d’anno in perdita emergono anche sotto il profilo dell’occupazione: il 31% delle imprese ha ridotto nel 2012 il numero di addetti (25,6% nel 2011; 28% nel 2010) contro un 12,8% che ha visto un ampliamento dell’organico (19% e 12% rispettivamente nel 2011 e nel 2010). Il ricorso agli ammortizzatori sociali si è intensificato nel 2012: le aziende che hanno fatto ricorso alla CIG ordinaria sono aumentate dal 28,7% del 2011 al 34,7%.
Le previsioni per il 2013 sono improntate alla cautela: il 27,5% delle aziende prevede un aumento del fatturato (20,2% una diminuzione), il 25,8% un aumento della produzione (19,6% una diminuzione), il 18,8% un aumento della redditività (22,3% una diminuzione); più della metà delle aziende prevede una stabilità in quasi tutti i parametri considerati.
Nello specifico, secondo le stime, i bilanci 2012 delle imprese distrettuali dovrebbero registrare una caduta del fatturato del 2,8%, con punte di circa il 5% per i distretti del mobile, prodotti in metallo e sistema moda. Modesta la ripresa del fatturato attesa nel 2013 (+1,1%). Per vedere valori più consistenti occorrerà attendere il 2014, con una probabile crescita del fatturato del 4%.

Le differenze nelle performance all’estero dei distretti nel 2012
Sul fronte delle vendite estere, nei primi nove mesi del 2012 la crescita è stata pari a circa il 2% (10,5% nel 2011), in seguito all’incremento del 5,3% verso i Paesi extra-Ue e alla diminuzione dell’1% verso i Paesi Ue. Il rallentamento registrato interrompe la tendenza di consistenti rialzi dei due anni precedenti, mostrando che i distretti patiscono oggi gli effetti di una crisi che non accenna a ridimensionarsi, non diversamente dal resto del sistema produttivo.
Tale rallentamento della crescita delle esportazioni non interessa tuttavia tutto il sistema distrettuale ma solo una sua – comunque cospicua – componente. Sono infatti 39 i distretti che nei primi nove mesi del 2012 hanno registrato una riduzione delle vendite estere. Il loro risultato, tuttavia, è stato “compensato” dagli incrementi dei rimanenti 62 ambiti distrettuali. A livello settoriale, si osserva la flessione del comparto automazione–meccanica (-3,1%), la tenuta dei comparti abbigliamento (+1,7%) e arredo-casa (+2,9%), la crescita dell’alimentare-vini (+6,9%) e il sensibile aumento dell’hi-tech (+14,9%).
Per quanto riguarda la destinazione, l’export verso i Paesi Ue è calato del -1%, mentre quello verso i Paesi extra-Ue è cresciuto del +5,3%. Sono i distretti dell’abbigliamento-moda e dell’arredo-casa a subire le peggiori flessioni dell’export verso l’Ue, pari rispettivamente a
– 5% e a – 3,6% e allo stesso tempo a registrare le migliori performance export verso i Paesi extra-Ue: rispettivamente + 12,6% e + 9,4%.
Ancora numericamente rilevanti (47) sono i distretti che nei primi nove mesi del 2012 hanno superato i livelli di export registrati nel 2008, prima della crisi: di questi 47 distretti, ben 17 appartengono al comparto abbigliamento-moda, 13 al comparto alimentare e 9 all’automazione-meccanica. Inoltre, 20 distretti hanno aumentato l’export del 2008 più del 20%, con punte dell’80% per i prodotti dell’industria casearia di Parma, del 77% per l’elettronica di Catania, del 35,9% per la pelletteria fiorentina.
Questa dinamica duale dell’export è confermata anche dall’indagine campionaria riferita a tutto il 2012: tra le imprese che hanno dichiarato di aver esportato lo scorso anno (8 su 10, con un fatturato all’estero che rappresenta il 51,6% di quello totale), il 36,4% ha registrato un incremento dell’export (38,1% nel 2011) e il 21,8% una diminuzione (15,3% nel 2011). A condizionare questi risultati sono stati gli arretramenti subìti in alcuni importanti mercati di sbocco (Germania, Grecia e Spagna) in parte compensati dalle buone performance negli Stati Uniti e in Giappone, seguiti da Emirati Arabi, Russia e Messico.

Le aspettative dell’export per il 2013: tiene la Germania, crescono USA e Far East
Segnali più positivi hanno invece caratterizzato l’ultimo scorcio del 2012 (con un aumento tendenziale dell’export nell’ultimo trimestre migliore rispetto alla media dei tre precedenti) e sembrano consolidarsi nel 2013: il 37,4% delle imprese operanti nei 101 distretti censiti dall’Osservatorio si attende un incremento degli ordinativi esteri, a fronte di un 14,6% che dovrebbe subire un ulteriore calo. La ripresa dell’export si confermerebbe trainata dai Paesi extra-Ue (nel 67,5% dei casi, con segnalazioni di crescita più frequente per gli Stati Uniti, per la Russia e i Paesi dell’Est, per la Cina e, soprattutto, per il Far East, a partire dal Giappone), mentre tra i Paesi dell’Unione europea tiene ancora bene il mercato tedesco (che da solo concentra quasi la metà delle segnalazioni di incremento relative all’insieme dei mercati “domestici” dell’Ue).
Sulla futura performance dell’export distrettuale potrebbero tuttavia incidere diversi fattori e, in particolare, il rallentamento delle nostre esportazioni verso i Paesi Ue. Inoltre, numerosi sono i segnali di progressivo mutamento in alcuni mercati strategici “presidiati” dai distretti produttivi, in particolare Cina, Russia e India, dove si rileva una graduale sostituzione con proprie produzioni di alcuni beni intermedi fino ad oggi importati, una domanda più sofisticata soprattutto dei prodotti made in Italy di fascia medio-alta e l’imposizione di condizioni di accesso al mercato più complesse (dazi, organizzazione di reti distributive locali, ecc.) che i distretti devono dimostrare di saper gestire e affrontare.

Un terzo delle imprese distrettuali ha difficoltà di accesso al credito
Tra i problemi con i quali si confrontano le imprese delle filiere distrettuali in questi anni di crisi, certamente quello dell’accesso al credito è in grado di incidere sulle loro capacità di fare innovazione per mantenere alta la competitività. Dai dati di una delle indagini contenute nell’Osservatorio emerge che il 32% delle aziende dei distretti ha avuto difficoltà di accesso al credito nella seconda parte del 2012, mentre il 40% degli imprenditori non si attende miglioramenti nel corso del 2013. Ma per una quota ancora maggiore di imprese (il 47%) nel 2013 ci potranno essere crediti non pagati per difficoltà o fallimenti di alcuni clienti.
Inoltre, oltre l’80% delle aziende incluse nel panel preso in considerazione in una ulteriore analisi del Rapporto ha segnalato di avere difficoltà nel recupero dei crediti commerciali, oltre il 60% ha problemi di formazione di liquidità, più del 40% ha attualmente rapporti problematici con le proprie banche di riferimento e l’effetto più evidente e più critico, soprattutto nel lungo periodo, è il progressivo ridimensionamento della capacità di investimento dei distretti.

I fattori sui quali scommettere: innovazione, qualità, competenze, collegamenti in rete
Come in tutti i casi, le letture sintetiche, basate sui dati medi, non rendono giustizia ai contesti specifici, nei quali spesso si possono delineare situazioni di eccellenza.
Il diverso posizionamento strategico – e la conseguente dispersione delle performance – viene affrontata nel Rapporto classificando e valutando i distretti in base a 16 indicatori relativi ad alcuni parametri legati all’innovazione: produttività, intensità brevettuale e spesa in R&S, qualità e formazione del capitale umano, utilizzo di ICT, sviluppo di reti di imprese. Da questa graduatoria emerge una correlazione significativa tra grado di innovazione e performance dei distretti. Al vertice della classifica così realizzata si pone il Distretto del Mobile della Brianza, dove l’indice della maggior propensione all’innovazione assume il suo valore massimo (632); al secondo posto il Distretto lecchese dei Metalli (621); al terzo, il Distretto modenese Biomedicale di Mirandola e il Distretto modenese del Tessile-Abbigliamento di Carpi entrambi con un valore pari a 618.
L’Osservatorio, inoltre, identifica anche cinque distretti “anti-crisi”, nei quali l’investimento forte in qualità, logistica, insieme all’adozione di nuovi sistemi di business intelligence, nuove competenze e forme originali di innovazione, malgrado la crisi, hanno prodotto risultati economici molto interessanti. Si tratta dei distretti Aerospaziale Pugliese, Veneto della Giostra, Fiorentino della Pelletteria, Lombardy Energy Cluster, Polo della Meccatronica Piemontese. All’origine del loro successo c’è, in primo luogo, la forte propensione all’export e la capacità di dialogare con i mercati globali, controllando reti distributive proprie o almeno partecipate. Il successo è garantito da prodotti che uniscono estetica, artigianalità, innovazione e funzionalità. I distretti analizzati sono vincenti grazie a produzioni fatte su misura per i clienti, dalla progettazione alla realizzazione fino all’assistenza post vendita. Alla forte vocazione internazionale fa da contraltare, tradizionalmente, il radicamento a livello locale. Uno dei punti di forza dei distretti analizzati è la presenza sul territorio di elevate competenze lungo tutta la catena del valore: alle aziende produttrici si affiancano piccoli e piccolissimi laboratori artigianali iper-specializzati e integrati fra di loro, che formano un sistema fondato sulla complementarità; in altri casi, le imprese più dinamiche si sono riorganizzate in strutture più snelle mantenendo al proprio interno le fasi a maggior valore aggiunto e affidando all’esterno, nella maggior parte dei casi sempre in aree limitrofe, le fasi di trasformazione del prodotto. Altro punto di forza è rappresentato dall’investimento in formazione, che diventa fondamentale per garantire il ricambio generazionale e il passaggio di quel patrimonio di conoscenze dai vecchi artigiani ai più giovani che intraprendono la stessa attività. Infine, sul fronte dell’innovazione, in alcuni di questi distretti si assiste ad una collaborazione più intensa fra aziende e centri di ricerca per favorire il trasferimento tecnologico.
Non è un caso che questi distretti virtuosi, soprattutto quelli ad alta tecnologia, adottino comportamenti strategici in parte simili a quelli riscontrati nei “distretti urbani”. Le agglomerazioni industriali localizzate nelle grandi città, che nel periodo della crisi (2007-2011) hanno ottenuto migliori performance in termini di fatturato, esportazioni e valore aggiunto, godono del vantaggio peculiare di disporre di un’elevata dimensione e densità della popolazione, che si associa alla presenza di un maggior numero di centri di ricerca e sedi universitarie, nonché di imprese di altri settori che offrono servizi diversificati ad alta innovazione. Il principale effetto di questa economia di agglomerazione urbana è quello di disporre di capitale umano ad elevata istruzione e alti livelli di competenze tecniche e manageriali (rafforzate da adeguati corsi di formazione), utilizzato, in particolare, nelle funzioni a monte (progettazione, ricerca e sviluppo, ecc.) ma anche in quelle a valle (marketing, creazione di marchi, ecc.) del processo produttivo, che stanno consolidando il loro ruolo strategico in questa fase della competizione globale.