Un’importante sentenza della Corte di Cassazione, la 4518/14, pubblicata il 26 febbraio chiarisce che solo dal momento della chiusura del conto corrente scatta il termine di prescrizione per il correntista che vuole rivalersi delle commissioni di massimo scoperto e degli interessi anatocistici, entrambi illegittimi, applicati senza titolo dalla banca. La prima sezione civile della Suprema Corte ricorda, infatti, che il contratto fra le parti è di durata e soltanto alla fine si definiscono con certezza i rispettivi crediti e debiti.
Nel caso di specie, è stato accolto il ricorso di un’impresa che aveva stipulato un contratto di conto corrente ordinario acceso «per anticipazioni salvo buon fine». Per i giudici di legittimità dev’essere censurata la sentenza del tribunale, in qualità di giudice dell’appello che sostiene che la prescrizione del diritto di ripetizione in capo al correntista decorrerebbe da ciascun addebito trimestrale sul rilievo che l’indebito si perfeziona con l’annotazione degli interessi anatocistici, atto che farebbe scattare il decorso del termine. Ad onor del vero il contratto di conto corrente dà luogo a un unico rapporto giuridico che si estrinseca in una pluralità di atti esecutivi, mentre le singole operazioni di addebito e accredito costituiscono soltanto esecuzioni frazionate di una sola obbligazione e, dunque, devono essere considerate nel loro complesso: soltanto con il saldo finale si definiscono i crediti e i debiti tra le parti.
Ma v’è di più: i versamenti che il correntista esegue durante l’esplicamento del rapporto con l’istituto di credito hanno normalmente la funzione di ripristinare la provvista, che risponde allo schema causale tipico del contratto e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens: una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste relative agli interessi passivi anatocistici; nella fattispecie, peraltro, non risulta dedotta né provata una destinazione dei versamenti in deroga all’ordinaria utilizzazione dello strumento contrattuale.
Peraltro, non vi è nessun dubbio, sulla ripetizione delle somme relative al massimo scoperto: non sussiste una previsione contrattuale ad hoc né è configurabile alcuna clausola d’uso.
Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” ancora un’importante decisione a tutela degli utenti e dei consumatori che lascia ben sperare circa le numerose azioni in merito già avviate dall’associazione.
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